Che cos’è il tradimento? Come possiamo leggerlo dal punto di vista filosofico, o meglio, fenomenologico – vale a dire in maniera scevra da giudizi morali e compromissioni assiologiche?
Nel suo saggio Sul tradimento, il filosofo Avishai Margalit propone una sorta di fenomenologia storica del tradimento, attingendo a casi concreti derivati, appunto, dalla storia, dalla letteratura, dalla cronaca e dalla sua vita personale.
L’idea di Avishai Margalit, sulla scorta di Gilbert Ryle, è che sia possibile distinguere relazioni “dense” e “fini”, e, a partire da ciò, inquadrare il tradimento. Le relazioni “dense” sono quelle che deteniamo e stringiamo con chi amiamo, con la nostra famiglia e i nostri amici. In aggiunta a queste ultime, esistono i legami che ci legano a persone con cui condividiamo un ideale, una patria o una religione. Al centro di queste relazioni dense sussiste una forma collettiva di memoria che istituisce la possibilità della fratellanza e della condivisione. Per Avishai Margalit, è l’etica a governare le nostre strette relazioni.
La moralità riguarda invece il nostro rapporto con l’umanità nel suo complesso. È qui che iniziano le relazioni “fini”. Anche in questo caso, può sussistere il conflitto: la morale ci vieta il tipo di connivenza che a volte ci viene richiesta da compagni che vogliono renderci complici. Un esempio: l’affare Dreyfus. In nome dell’etica patriottica e della solidarietà di corpo, agli ufficiali fu chiesto di sacrificare un innocente per salvare l’onore del loro Paese.
Quali sono le istituzioni che, secondo Avishai Margalit, sono saldate da relazioni più fitte o dense? Sette, mafie, leghe estremiste, impongono ai loro membri relazioni strettissime poiché antepongono il simbolico e il sacro ai propri interessi economici, divenendo incapaci di scendere a compromessi, ma schierandosi con risolutezza per denunciare i “traditori” al loro interno. Quanto meno strette sono le relazioni, quindi, tanto meno…