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«Se’ tu già costì ritto, Bonifazio?»

Bonifacio VIII fu davvero il tiranno descritto nella «Divina Commedia», o fu solo figlio delle sfide del suo tempo? E perché il giudizio di Dante nei suoi confronti fu così duro?

7 minuti di lettura

Il mestiere del papa non deve essere facile. Il mestiere del papa nel Medioevo non doveva assolutamente essere facile. Il mestiere del papa nel Medioevo stando pure antipatico a Dante Alighieri suona come presentarsi al grande gioco della storia con la modalità difficile impostata. Fu così indubbiamente per Bonifacio VIII (Benedetto Caetani), sul seggio di Pietro dal 1294 al 1303. È per noi pubblico una presenza negativa sullo scenario della storia, soprattutto a causa del pesantissimo giudizio che emerge dalla Commedia di Dante – in cui sappiamo che il fiorentino non guardò in faccia a nessuno al momento di scegliere dove collocare alcuni personaggi, se all’Inferno, in Purgatorio o in Paradiso, e per quali motivi. Forse consapevole del peso eterno che le sue sentenze avrebbero avuto.

Siamo nel canto XIX dell’Inferno, il Sommo poeta si trova con la sua adorata guida Virgilio nell’VIII cerchio, detto Malebolge, in cui si trovano i fraudolenti (quelli che hanno danneggiato in qualche modo il prossimo con le loro azioni) suddivisi in dieci fossati concentrici, o “bolge”, a seconda del tipo di peccato che hanno commesso. È nella terza di queste bolge che si trovano i simoniaci, ossia chi ha fatto compravendita di cariche ecclesiastiche e beni spirituali. La giustizia divina ha deciso che siano piantati a testa in giù nel terreno, con le gambe libere, e che delle piccole fiamme tormentino loro le piante dei piedi, costringendoli a scalciare in continuazione.

bonifacio VIII
Dante e Virgilio entrano attraverso le porte dell’Inferno.
Fonte: Look and Learn

Dante sente le loro urla, e qualcuno urla più degli altri; chiede e ottiene di avvicinarsi a quella voce. Per la loro scomoda posizione i dannati non vedono chi ci sia intorno a loro, ed è questo il momento saliente del canto: le urla sono di papa Niccolò III (pontefice dal 1277 al 1280, figlio di un Orsini e di una Caetani), che, interrogato da Dante, crede erroneamente che sia arrivato il suo nuovo compagno di sventure (proprio Bonifacio VIII), implicitamente accusandolo dello stesso peccato:

Ed ei gridò: «Se’ tu già costì ritto,
se’ tu già costì ritto, Bonifazio?
Di parecchi anni mi mentì lo scritto.

Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio
per lo qual non temesti tòrre a ‘nganno
la bella donna, e poi di farne strazio?»
(Inf. XIX, vv. 52-57)

Niccolò III, tra i predecessori di Bonifacio VIII, si “confonde”, convinto che le profezie a cui i dannati hanno accesso si siano sbagliate: esse prevedevano l’arrivo del Caetani, ma più tardi di quel momento (Di parecchi anni mi mentì lo scritto). Non dimentichiamo che la Commedia è ambientata nel 1300, proprio nell’Anno Santo indetto da Bonifacio, e quindi nella finzione non era ancora morto. Niccolò si stupisce: pare che Bonifacio si sia saziato molto velocemente di quell’aver, cioè di tutte le ricchezze, per ottenere le quali non ha esitato a prendere con l’inganno la Chiesa (la bella donna) e straziarne la reputazione.

Un’accusa che colpisce sempre per la sua ferocia, e che poco oltre non risparmia nemmeno Clemente V (pontefice dal 1305 al 1314), che a quanto pare arriverà ad occupare la buca schiacciando Bonifacio e lo stesso Niccolò (è sempre quest’ultimo a profetizzarcelo), sempre per simonia.

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Bonifacio VIII godrà di una minuscola difesa nel canto XX del Purgatorio, dove si condanna lo schiaffo di Anagni (di cui parleremo più tardi) come un affronto inaccettabile per la Chiesa. Ma nel XXVII del Paradiso Dante scomoderà addirittura San Pietro per fargli affermare che i papi corrotti come Bonifacio occupano ingiustamente il suo seggio terreno, avendolo trasformato in una «cloaca del sangue e della puzza», appagando così Lucifero. Come leggere tutto questo?

Intanto un dato cronologico: mentre Niccolò III e Bonifacio VIII erano già morti al momento della stesura dell’Inferno dantesco, Clemente V era con buone probabilità ancora in vita. I dantisti reputano che la prima delle tre cantiche della Commedia fosse già completa e circolante prima del 1310, mentre Clemente morì nel 1314. Naturalmente nulla può aver impedito a Dante di averlo aggiunto in qualche revisione successiva, prima della sua morte nel 1321. Ma è interessante ricordare che questo papa è tra i pochi elementi dell’Inferno che fa sorgere qualche dubbio sulla data di stesura.

Dante ce l’aveva con lui, come molti suoi contemporanei, per il trasferimento della sede pontificia da Roma alla Francia, dando inizio a quello che diventerà noto come periodo avignonese (i papi torneranno in Italia solo nel 1377, non senza parecchie complicazioni). I cristiani italiani vedevano in ciò la concretizzazione di un totale asservimento della corte papale ai re di Francia, e in particolare a re Filippo IV “il Bello”.

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Ma se tutto questo può giustificare la rabbia verso Clemente V, non può valere per Bonifacio VIII. La data di nascita di Bonifacio VIII non è identificabile con certezza, ma viene tendenzialmente collocata tra il 1230 e il 1235. Nacque ad Anagni, e dopo gli studi di diritto a Bologna entrò nell’amministrazione pontificia, fu ambasciatore in Francia e Inghilterra, per diventare cardinale nel 1281. Ebbe probabilmente un ruolo nelle pressioni che spinsero al “Gran rifiutoCelestino V, eletto e dimessosi nel 1294, e appena Bonifacio venne eletto alla fine di quell’anno fece rinchiudere il predecessore temendo che potesse diventare un riferimento per i suoi detrattori.

Bonifacio VIII
Bonifacio VIII. Fonte

Nel corso del suo pontificato Bonifacio fece del suo meglio per imporsi sugli altri potenti d’Europa, soprattutto sul già citato Filippo IV di Francia, ad esempio tentando di vietare ai religiosi di versare tasse o somme generiche alle autorità laiche senza il consenso del pontefice. Era solo uno dei tentativi di spingere verso una totale autonomia della Chiesa, nonché di rendere il papa una figura superiore a tutte le altre anche sul piano giuridico (celebre è la bolla Unam Sanctam del 1302, con cui Bonifacio affermò che la Chiesa era superiore a ogni altra autorità e che solo Dio potesse giudicare il papa). Indisse il primo Giubileo della storia nel 1300, e non esitò ad aggirare qualche principio morale per riempire le casse pontificie, come i contemporanei ben sapevano.

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Tra i problemi della Chiesa romana a inizio Trecento c’erano le rivalità tra le famiglie romane e laziali, che lottavano proprio per conquistarsi un posto nel collegio dei cardinali e ascendere al soglio di Pietro – proprio le continue lotte e l’instabilità che si percepiva a Roma sarebbero stati tra i motivi principali del trasferimento del concistoro che nel 1305 avrebbe eletto Clemente V prima a Perugia e poi in Francia, dove il nuovo papa risiedeva.

Una delle rivalità più accese era quella tra i Caetani, la famiglia di papa Bonifacio VIII, e i Colonna. Questi ultimi erano in costante opposizione con la politica papale, e non solo: nel 1297 saccheggiarono una carovana di muli di proprietà di Bonifacio che portava duecentomila fiorini d’oro da Anagni a Roma. La risposta del papa fu durissima: conquistò tutte le città in mano ai Colonna, radendo al suolo Palestrina, cacciò i membri della famiglia da ogni incarico istituzionale e li scomunicò; i Colonna si rifugiarono in altre aree d’Italia e in Francia, dove trovarono l’accoglienza di re Filippo. Il primo round era andato a Bonifacio VIII, e la tensione con la Francia continuava a crescere perché né il re né il papa intendevano fare un passo indietro: in particolare nel 1303 la questione da risolvere era se i vescovi francesi dovessero versare le decime a Filippo o a Bonifacio.

Quando Guglielmo di Nogaret, rappresentante di Filippo IV, venne a sapere che Bonifacio stava preparando la scomunica per il re, mosse con un gruppo di armati verso il palazzo di Anagni in cui si trovava il papa in quel momento. La resistenza al loro arrivo fu quasi nulla, e gli uomini di Nogaret arrivarono fino alla camera di Bonifacio per intimargli di ritirare i propositi di scomunica. Con loro c’era un membro della famiglia dei Colonna, Giacomo, detto Sciarra, passato alla storia come il responsabile dello schiaffo di Anagni: a lungo ritenuto uno schiaffo fisico ai danni di Bonifacio accaduto proprio in quell’occasione, è decisamente più probabile che la formula indichi invece la grande offesa a cui il papa fu sottoposto, tra minacce e insulti. Dopo qualche giorno di prigionia nel palazzo, il pontefice fu lasciato libero. Sarebbe morto dopo pochi mesi, probabilmente per un problema renale – ma anche qui la storiografia tradizionale preferisce raccontarci che non avesse retto all’offesa di Anagni.

Ma perché Dante ce l’aveva con Bonifacio? Certamente se i suoi sforzi per l’autonomia della Chiesa potevano sembrare ammirevoli a qualcuno, di certo la sua inflessibilità non doveva sembrare il massimo ai membri di un ceto dinamico come la borghesia fiorentina. Ma questo è secondario.

Per quanto Sommo, Dante era umano, e covava un immenso rancore nei confronti dei responsabili del suo esilio da Firenze. I guelfi fiorentini, divisi tra Bianchi (tra cui Dante, sostenitori dell’autonomia dei poteri imperiali e cittadini dalla Chiesa) e Neri (fortemente filopapali), non trovavano pace. Alla fine del 1301 Bonifacio VIII inviò Carlo di Valois (peraltro fratello del re di Francia) a tentare una finta mediazione, sopprimendo di fatto priori, podestà e consigli. Il Valois permise ai guelfi Neri, in quel momento esiliati, di rientrare, arrestando nel frattempo i rappresentanti più in vista dei Bianchi, sempre con la scusa della pacificazione. Dante si trovava a Roma come ambasciatore e nel gennaio del 1302 fu condannato a morte in contumacia: Bonifacio VIII aveva causato, più o meno direttamente, l’eterno addio alla sua amata Firenze. E questo bastava per finire all’Inferno.

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Dati alla mano è sempre difficile dare un giudizio su Bonifacio VIII, come in realtà sarebbe per tantissimi personaggi che oggi glorifichiamo ma che visti sotto la lente della Storia diventano estremamente più complessi di quanto pensiamo, o quantomeno dell’idea che ci siamo fatti di loro. Nel suo caso siamo anche condizionati inevitabilmente dalla condanna di una delle voci più potenti nella storia della letteratura.

Si comportò da papa del suo tempo, provò a difendere i suoi interessi e quelli di una Chiesa potente, non riuscendo a capire che non c’era più lo spazio di prima in mezzo alle monarchie nascenti e alle fortissime tensioni della politica italiana. Usare il pugno duro al posto del dialogo gli si ritorse contro, se non sul piano fisico, almeno su quello dantesco.

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Daniele Rizzi

Nato nel '96, bisognoso di sole, montagne e un po' di pace. Specializzato in storia economica e sociale del Medioevo, ho fatto un po' di lavori diversi ma la mia vita è l'insegnamento. Mi fermo sempre ad accarezzare i gatti per strada.

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