Sono passati dodici anni da quando la Siria, guidata da Bashar al-Assad, è stata espulsa dalla Lega Araba. Le crepe nel regime causate dalla proteste e la veloce escalation che portarono, nel 2011, allo scoppio della sanguinosa guerra civile trasformarono subito Assad da prezioso alleato a pericolosa mina vagante. Dittatore sanguinario, ma anche emblema di un regime che sembrava stesse di lì a poco per cadere, Assad era ormai diventato una pericolosa pedina da escludere dalla scacchiera.
Poco più di un mese fa, a maggio, la Siria è stata riammessa nella Lega Araba. Non si tratta di un atto semplicemente formale: pur avendo la Lega Araba perso il peso storico che aveva in passato, l’evento ha una portata anche umana oltre che politica. Perché, mentre Assad sembra improvvisamente riabilitato, migliaia e migliaia di siriani continuano a vedere le sue mani sporche di sangue. Con l’aggravante, oggi, di sentirsi traditi dai fratelli arabi dei paesi vicini.
La Lega Araba e la guerra civile siriana
Nata nel 1945, la Lega Araba è un organo finalizzato alla promozione della cooperazione tra Paesi nell’area del Medio Oriente e alla risoluzione di controversie tra i membri. Pur avendo, di fatto, perso la connotazione di influenza che aveva in passato, la Lega Araba continua a costituire un organo importante di rappresentanza dell’intero mondo arabo. Così, l’espulsione della Siria nel 2011 rappresentò un duro colpo per quello che, fino ad allora, sembrava il detentore intoccabile del potere in uno dei Paesi più influenti e potenti del Medio Oriente.
I più di dieci anni di guerra civile hanno visto una frammentata opposizione al regime di Damasco con scontri sanguinosi e l’ingerenza di Paesi o organizzazioni terze: la Russia e l’Iran a sostegno di Assad, così come alcuni gruppi sciiti tra cui Hezbollah; Arabia Saudita e Qatar a sostegno di gruppi ribelli; numerosi interventi armati degli Stati Uniti e Turchia; le cellule sempre più ampie dell’ISIS e l’intervento delle milizie curde.
Nel 2017, un primo accordo di cessate il fuoco con i ribelli non islamisti e la cacciata dell’ISIS da Raqqa, oltre che la successiva caduta della sua Baghouz nel 2019, sancirono il momento in cui il regime riprese di fatto le redini del Paese. Ad oggi, solo il governatorato nordoccidentale di Idlib non è controllato da Damasco. Un ampio controllo che, tuttavia, non ha ricucito le disparità e le instabilità più profonde del Paese, soprattutto quelle ideologiche.
L’attuale resoconto della guerra civile è di circa mezzo milione di morti, ma anche di 13 milioni di persone fuggite in altri Paesi o sfollati all’interno dei confini.
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La riabilitazione di Assad
Già nel 2018, quando il potere di Assad sembrava di nuovo ristabilito, gli Emirati Arabi Uniti hanno mosso i primi passi per riprendere contatti diplomatici. Una mossa seguita poco dopo dalla Giordania che, nel 2021, ha riaperto le sue frontiere con la Siria. E così, con un graduale ma costante gioco di incontri diplomatici e accordi, tornare ad avere rapporti con la Siria è stato a poco a poco normalizzato e quello che veniva condannato alla quasi unanimità come un sanguinoso dittatore è stato riaccolto con i soliti onori che si concedono al più fedele alleato. Resta la perplessità di Kuwait e Qatar. Una perplessità che, tuttavia, non ha potuto nulla contro la forte convinzione dell’Arabia Saudita che vuole, in questo modo, entrare in uno scenario economico in passato dominato dall’influenza iraniana.
A velocizzare il processo di reintegrazione, il terremoto che qualche mese fa ha colpito Turchia e Siria provocando circa seimila vittime nel solo paese siriano e che ha portato molti Paesi arabi a inviare il loro aiuto, forzando un contatto che forse avrebbe impiegato altri mesi e sforzi diplomatici a concretizzarsi. Ma anche la politica statunitense di de-prioritizzare la questione mediorientale, allontanando un po’ i riflettori dalla regione e lasciando i diversi Stati più liberi di interloquire senza pressioni.
Le conseguenze politiche
Sulla Siria continuano a premere le sanzioni statunitensi ed europee che isolano il paese dallo scenario globale e limitano comunque enormemente gli investimenti che i paesi arabi saranno disposti a fare nel paese.
Per alcuni studiosi di geopolitica, la reintegrazione della Siria nella Lega Araba può portare a una maggiore stabilità nella regione mediorientale. La Siria, infatti, che negli ultimi anni ha ricevuto l’aiuto e la vicinanza dell’Iran può fungere da punto di contatto tra i paesi della Lega e Tehran. Il tutto in un clima più disteso grazie ai recenti avvicinamenti tra Arabia Saudita e l’Iran sotto la spinta anche della Cina.
Inoltre, la riammissione è soggetta ad alcune condizioni tra cui un processo di raccoglimento dei profughi siriani e una pacifica transizione politica. Condizioni che, tuttavia, difficilmente saranno realizzate almeno finché Assad non sarà riuscito a tenere sotto controllo non solo l’intero territorio siriano, ma anche ogni residuo tentativo di minaccia alla sua autorità.
Le conseguenze umane
Se, sulla carta, la riammissione della Siria nella Lega Araba sembra il giusto passo per riportare stabilità economica e politica nella regione, da un punto di vista umano e sociale si tratta di quello che molti siriani definiscono un vero e proprio tradimento.
La Siria, infatti, continua ad essere un Paese fortemente diviso. Nonostante alle ultime elezioni Assad abbia ottenuto il 95% dei consensi, lo spirito di opposizione alla sua egemonia è calato per il solo effetto della repressione e non dell’improvvisa diffusione di un senso di fiducia. Ma a pesare è anche la questione dei rifugiati e le prospettive di altro sangue versato.
Nel 2021, l’UNHCR ha registrato il ritorno in Siria di circa 36.000 rifugiati, in molti provenienti dal Libano, dove oltre il 90% dei rifugiati siriani vive in condizioni di povertà, e dalla Giordania. Human Rights Watch ha denunciato, tuttavia, casi di arresti, detenzioni arbitrarie, torture e sparizioni: alcuni dei rifugiati erano, infatti, a diverso titolo oppositori o non simpatizzanti del regime e il ritorno in Patria, in un momento in cui il regime ha riacquistato le sue forze, costituisce per loro un enorme fattore di rischio.
Ma a sentirsi traditi dalla riammissione di Damasco nella Lega Araba sono anche migliaia di rifugiati all’estero che hanno denunciato la sparizione o la morte dei propri familiari avvenuta soprattutto nei primi anni di guerra civile, quando l’opposizione politica ad Assad era duramente repressa. Tra questi, Wafa Ali Mustafa, attivista politica, il cui padre nel 2013 è stato rapito dai servizi segreti siriani e di cui non si è più avuta alcuna notizia, costringendo lei e gli altri suoi familiari a lasciare il Paese per motivi di sicurezza.
È stata lei a usare, per prima, la parola tradimento, facendo eco alle voci della protesta che dodici anni di guerra civile non hanno silenziato.
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