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Maturità 2023 e quella “Lettera aperta al Ministro Bianchi”

Ricorderemo forse questo della maturità 2023. Oppure, potremmo guardare all'accaduto per aprire una riflessione più strutturata su uno degli esami più spartiacque della nostra vita.

3 minuti di lettura

Sono iniziati gli esami di maturità per gli studenti degli istituti secondari di secondo grado, che lo scorso mercoledì 21 giugno sono tornati sui banchi di scuola per affrontare la prima prova scritta. Con l’Esame di Stato 2023 si torna alle “vecchie” regole: due prove scritte e un colloquio orale; tema di italiano a carattere nazionale in prima prova, e seconda prova di latino (Seneca è stato il prescelto di quest’anno) per il liceo classico e di matematica per lo scientifico. Un grande traguardo, se consideriamo che durante gli anni della pandemia l’esame di maturità è arrivato a non prevedere alcuna prova scritta, e a consistere nel solo colloquio orale. Dettato dal pescaggio di una busta, oltretutto.

La problematicità di quella “Lettera aperta al Ministro Bianchi”

Una traccia in particolare, tra le sette proposte per il tema di italiano, ha destato grande scalpore. Si tratta della C1, una riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità. Lettera aperta al Ministro Bianchi sugli esami di maturità recitava il titolo in grassetto. La traccia dava ai maturandi, secondo il MIUR, la possibilità di riflettere sull’importanza del ritorno alle prove scritte, dopo gli anni pandemici di soli colloqui orali.

Una causa più che onorevole, se non fosse che l’ex Ministro dell’Istruzione del Governo Draghi, Patrizio Bianchi, a cui questa “lettera” risultava indirizzata, non ne era stato preventivamente messo al corrente. E infatti il suo disappunto non ha tardato ad arrivare.

«Trovo inaudito che si faccia commentare ai ragazzi un testo che non si sa chi ha scritto, genericamente inviato nel dicembre del 2021 con una frase che dice “abbiamo letto sui giornali che lei sarebbe intenzionato a…”. Ma ci vogliamo attenere ai fatti? Gli esami di maturità senza la prova scritta sono quelli al tempo del Covid ed abbiamo comunque garantito a tutti un esame, e l’anno successivo siamo stati noi a ripristinare gli esami scritti.»

La richiesta di ripristinare gli esami scritti fu firmata, all’epoca, da un gruppo di intellettuali e docenti, ma ancora non si sa con certezza chi l’abbia effettivamente fatta circolare. Un documento non ufficiale, quindi, che apre spiragli a strumentalizzazioni politiche da cui il mondo della scuola dovrebbe rimanere escluso.

Sulla questione è intervenuto l’attuale Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara smentendo qualsiasi intento di propaganda politica. Lo scopo della traccia, secondo Valditara, sarebbe stato soltanto quello, innocuo, di evidenziare l’importanza e la necessità delle prove scritte in un momento di transizione come quello che pone fine al ciclo di studi superiori.

Una riflessione più approfondita sulla questione, però, mostra esiti differenti. La traccia che sottolinea l’importanza delle prove scritte, screditando implicitamente (ma non troppo) le decisioni prese dalle istituzioni negli anni del Covid, sembra rispondere alla consuetudine (troppo spesso nella politica) di puntare il dito contro gli altri sempre e comunque. Anche quando un piccolissimo sforzo mnemonico basterebbe a rendere evidente che i danni inflitti all’esame di maturità risalgono a molto tempo prima della pandemia.

Senza contare lo stato di fossilizzazione in cui la maturità in Italia continua a versare nonostante la società e i bisogni dei giovani evolvano. Un punto di rottura è collocabile nel 2017, all’epoca del decreto legislativo 62, quello che ha spazzato via la terza prova scritta, una verifica multidisciplinare con domande aperte.

In difesa della terza prova (e delle parole scritte)

E veniamo allora all’importanza delle prove scritte, tanto decantata dal governo attuale. Importanza sacrale, certo, come sacrale lo sforzo di sottolinearla. Uno sforzo di sensibilizzazione che forse, però, andava dimostrato qualche anno fa, quando poteva ancora giovare alla causa. Non oggi. E non per mera strumentalizzazione politica.

A che cosa serviva la terza prova? A prendere consapevolezza di sé e delle proprie capacità. E a dimostrarle. La padronanza di competenze dimostrata anche attraverso la loro elaborazione scritta in lingua italiana è un requisito fondamentale per menti ancora in divenire, in procinto di approcciarsi al mondo degli adulti. Una competenza sacrosanta e ad oggi estremamente sottovalutata. Scrivere significa rielaborare interiormente ciò che si ha appreso, scavare la superficie e smembrare una questione nelle sue diverse componenti, anche tramite collegamenti interdisciplinari. Significa sviluppare un pensiero critico, fondamenta essenziale per una società solida e competente.
Con l’eliminazione della terza prova non è stato fatto il bene delle nuove generazioni. Loro, che l’anno scorso hanno protestato contro il ritorno delle prove scritte davanti ai cancelli delle scuole, ancora non se ne rendono conto, ma il Ministero dell’Istruzione e del Merito forse avrebbe dovuto farlo prima.


Ilaria Prazzoli

Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

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