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25 aprile

Il 25 aprile non c’è spazio per le ombre

La festa della Liberazione è di tutti coloro che credono nella democrazia e nell’uguaglianza, ma il tema della Resistenza è ostico per l'attuale governo.

3 minuti di lettura

Il 25 aprile è la festa più bella, quella che unisce.

Parlare di Liberazione oggi permette di ripercorrere ottant’anni di storia, un percorso verso la democrazia consolidatasi nel tempo e di una Costituzione intrisa di valori come la libertà, l’uguaglianza e i diritti di tutti e tutte. A ciò si aggiunge che è il primo 25 aprile del Governo Meloni, il primo governo di centrodestra dopo quelli guidati da Silvio Berlusconi tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila. Anche lì qualche scivolone e una retorica che, tra qualche generalizzazione e qualche pecca, riuscì a chiarire la propria distanza dagli ideali e dalle idee del ventennio fascista. Possiamo dire lo stesso degli esponenti del governo in carica?

Ogni anno, nei mesi che precedono il 25 aprile si scatena un carosello di dichiarazioni che segue sempre lo stesso schema. Il rappresentante politico di centrodestra che la spara grossa, viene criticato da tutti gli altri e abbozza una scusa. Poi, al bar sotto casa, trovi quello che ti ripete le stesse falsità con l’aria di chi ne sa più di altri, pur basandosi sul mero sentito dire.  

Il tema della Resistenza è da sempre un tema ostico per i partiti e le formazioni di destra e centrodestra. In uno slancio troppo spesso incauto, si mettono in mezzo gli americani e l’intervento degli alleati come a voler screditare la Resistenza e il ruolo dei Partigiani. A questo si aggiunge un altro evergreen della destra in attesa del 25 aprile: l’equidistanza tra fascismo e comunismo che parte sempre da una frase quasi benevola come «noi condanniamo tutte le dittature» (come se ci fosse qualcuno che non lo fa) per poi continuare con il fatto che è vero che sono state fatte cose atroci, ma anche gli altri sono brutti e cattivi. Da lì, girandole su girandole tra le quali traspaiono parole sconnesse su foibe, Stalin, la Corea del Nord, la Cina e i comunisti che mangiano i bambini. Facciamo chiarezza su questo punto, non bisogna confondere l’ideologia con i regimi. È giusto condannare ogni forma di dittatura e di regime, ma non bisogna cadere nella semplificazione che porta all’errore. Il contrario di fascismo non è comunismo, ma democrazia e proprio questo dovrebbe unirci.

Come se non bastasse, torna puntuale ogni anno il grande classico «Mussolini ha fatto anche cose buone». Mancano i dati economici su cui basare questa affermazione quindi si tende a recuperare dicerie come quella dei treni in orario e del dormire con la porta aperta, ma molto spesso, si lascia tanto spazio al non detto.

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Per concludere, la differenziazione in termini che porta a sostituire la Feste della Liberazione con una fantomatica Festa della libertà. Generalizzare spersonalizza e mette tutto insieme in un calderone come si provò negli anni della pandemia quando si propose di indicare il 25 aprile come data di liberazione dal Covid.

Il problema si pone quando queste affermazioni, che potrebbero risultare fuori luogo anche in una discussione da bar, trovano spazio nelle affermazioni degli esponenti di maggioranza e di governo. C’è un’evidente difficoltà dell’attuale maggioranza a prendere chiaramente le distanze dal fascismo e dalle ideologie che hanno caratterizzato l’MSI e le formazioni di estrema destra in epoca repubblicana. Alla domanda secca «Lei si dichiara antifascista?» la risposta è troppo spesso generale o si ritorna al caricaturale «sono antifascista e anticomunista» come a dare un colpo al cerchio e uno alla botte.

A questo, si aggiungono argomenti come quelli elencati che arrivano difficilmente alla chiara definizione di una parte giusta e una sbagliata nella storia, ponendo tutto l’arco parlamentare dal lato giusto della storia che è quello della democrazia e della libertà dataci dalla Resistenza.

Le affermazioni del Presidente del Senato Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato, su Via Rassella e sui fatti che hanno poi portato all’eccidio delle Fosse Ardeatine fanno male e dimostrano quanto altro lavoro ci sia da fare. Fanno male perché ripropongono falsità perpetrate da gruppi fascisti e postfascisti, andando a minare l’importanza della Resistenza italiana. Poi, c’è anche l’affermazione sul fatto che a parer suo non vi sia l’antifascismo nella nostra Costituzione, dimenticando che la Costituzione è stata scritta da antifascisti di diversa estrazione politica e culturale e che l’antifascismo è presente in ogni lettera scolpita nero su bianco nella storia del nostro Paese e della Repubblica italiana.

Il rischio è che queste girandole nascondano non un’abitudine consolidata di dialettica politica, ma chiare forme di revisionismo storico che puntano a danneggiare la memoria, creano inutili dicerie che alimentano false verità, divisioni e inutili steccati.

Forse il problema sta nel fatto di non aver mai condannato in modo fermo e puntuale il Fascismo, come in altri Stati è stato fatto per le dittature che hanno attanagliato i singoli Paesi. Spesso servirebbe fare i conti con la storia per eliminarne le storture definendo posizioni comuni che fungano da base e da minimo requisito per la partecipazione alla vita democratica di un Paese. Partiamo dalle parole di Sergio Mattarella, dalle parole di Liliana Segre e dalla Costituzione.  

Non lasciamo spazio ai fraintendimenti. Il contrario di fascismo è democrazia e il suo esercizio da parte di cittadini liberi e uguali. Non è una ricorrenza di sinistra, ma una festa di tutti coloro che credono nella democrazia e nell’uguaglianza.

Diamo importanza alla memoria che non si lega solo ai testimoni, ma deve correre con le gambe di altri venuti dopo. Serve formare alla resistenza e alla liberazione, insegnarle a scuola e parlare dei grandi esempi di civiltà e di cittadinanza consegnatici dalla Resistenza fatta da donne e uomini che hanno lottato consapevolmente per un futuro migliore.

Quando si parla di 25 aprile non c’è spazio per le ombre, al massimo per il sol dell’avvenire.

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Giuseppe Vito Ales

Classe 1993. Cresciuto tra le montagne di Piana degli Albanesi, sono un Arbëresh di Sicilia profondamente europeo. Ho studiato economia, relazioni internazionali ed affari europei tra Trento, Strasburgo, Bologna e Bruxelles per approdare infine a Roma. Tra le grandi passioni, la politica, l’economia internazionale e i viaggi preferibilmente con uno zaino sulle spalle e tanta voglia di camminare.
Credo che nel mondo ognuno di noi possa contribuire al miglioramento della collettività in modo singolare e specifico, proprio per questo non mi sta particolarmente simpatico chi parla per frasi fatte o per sentito dire e chi ha la malsana abitudine di parlare citando pensieri e parole d’altri. Siate creativi, ditelo a parole vostre!

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