Ultimo libro della collana Mosche d’oro della Giulio Perrone è Anna Castelli Ferrieri scritto da Chiara Sfregola (scrittrice, sceneggiatrice e produttrice italiana), opera in cui, così come per gli altri libri della collana, c’è una donna che parla di un’altra donna, creando un dialogo intimo e totalmente al femminile.
È un ricordo d’infanzia a dare inizio alla narrazione del libro: il primo incontro fra la scrittrice e il design infatti avviene «in bagno, una domenica mattina, mentre mia madre mi lavava i capelli». Da qui la vita di Chiara Sfregola pian piano si intreccia con quella di Anna Castelli Ferrieri (1918-2006): architetta, designer e direttrice creativa della Kartell.
La vita che Chiara Sfregola racconta non è solo sua
La priorità viene data ad Anna Castelli Ferrieri, rinominata dalla scrittrice con l’acronimo “ACF”, una donna che la incuriosisce e che a sua volta vorrebbe incuriosire, ma non può farlo a causa della sua scomparsa avvenuta nel 2006. “ACF” è però una figura dalla quale è impossibile non lasciarsi intrigare.
Una fra le prime donne a laurearsi in Architettura presso il Politecnico di Milano, Anna Castelli Ferrieri è una persona che osa. Si iscrive alla facoltà nel 1938, un anno difficile per l’Italia sia per quanto riguarda i diritti delle donne in ambito lavorativo che per l’architettura. Seguire quella strada era dunque «un atto di fede nel futuro» di cui non sembra aver paura.
Questa domanda su cos’è il “Presente del design” mi fa venire in mente una cosa ovvia: che il presente non esiste, è molto futuro e anche un po’ di passato.
Anna Castelli Ferrieri
Entra a far parte del Movimento Moderno, periodo del razionalismo italiano nato fra le due guerre che ambiva alla modernità e alla pulizia delle forme. Nel secondo dopoguerra collabora dunque nella ricostruzione di Milano.
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È quindi l’architettura il filo conduttore principale che unisce le due figure: è difatti una disciplina che accompagna anche Chiara Sfregola da tutta la sua vita.
Quando ero bambina uno dei miei passatempi preferiti era disegnare le planimetrie degli appartamenti. Sapevo come fare. Avevo visto mio padre infinite volte disegnare chino sul tecnigrafo del suo studio, o a mano libera sulle pareti dei cantieri, su mattoni e su tovaglioli del bar.
Chiara Sfregola
Gli anni Sessanta e la Kartell
Fondata dal marito Giulio Castelli nel 1949 l’azienda Kartell si occupa sin da subito della produzione di oggetti in plastica d’uso quotidiano. La plastica sarà difatti il materiale distintivo degli articoli dell’azienda che permetterà la realizzazione di prodotti leggeri e dalle forme nuove. Inizialmente la partecipazione di Anna Castelli Ferrieri è sporadica ma notevole: si deve a lei ad esempio la creazione del logo.
Tuttavia la sua presenza sarà più assidua solo negli anni Sessanta, quando avviene il suo ingresso nel mondo del disegno industriale al quale si era già avvicinata nel 1947 alla Triennale di Milano presentando: un letto singolo, un letto matrimoniale, una poltrona, un tavolino, un carrello, uno sgabello e degli armadi componibili per la cucina. Il tutto però non riscosse particolare interesse da parte delle aziende e ciò la porterà a concentrarsi principalmente sull’architettura e a sostenere che «ho fatto design all’inizio della mia carriera e in fondo è stata un’operazione che non è servita a nulla».
Negli anni Sessanta invece decide di riportare nel design gli stessi principi del razionalismo nella produzione di oggetti destinati al grande pubblico: da qui nasce l’idea dei Componibili, nati originariamente con il nome mobili 4970/84, che fanno ormai parte delle collezioni permanenti del Museum of Modern Art di New York e del Centre Georges Pompidou di Parigi. Prodotti in ABS (stesso materiale dei mattoncini Lego, estremamente avanzato in quegli anni), i Componibili sono ancora oggi best seller dell’azienda e hanno contribuito a rendere “ACF” la prima donna del design in Italia.
Quando si parla di Anna Castelli Ferrieri si fa dunque riferimento a una donna eclettica che si è sempre impegnata nel sociale e con la quale è impossibile non empatizzare: proprio questo rende comprensibile la scelta di Chiara Sfregola di intrecciare la sua vita con quella della sua cara “ACF“, una figura che nonostante la sua assenza le ha sempre creato supporto.
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