Dopo la crisi del 2008, il mondo globalizzato sembra aver rallentato il suo ritmo di crescita, aumentato a dismisura durante i precedenti trent’anni di liberalizzazioni. Negli ultimi anni, come conseguenza dell’epidemia di COVID-19, della guerra commerciale USA-Cina e del conflitto russo-ucraino, la globalizzazione è entrata in una nuova fase, tanto che molti analisti parlano ormai di slowbalization. Ma quali sono le conseguenze? E quali le prospettive per il futuro?
Una Cina sempre più isolata
Quando, l’11 dicembre 2001, la Cina entrò nella WTO, nessuno avrebbe mai pensato che, nel giro di poco più di vent’anni, sarebbe diventata la seconda economia del mondo, toccando tassi di crescita vicini al +15% del PIL. Nessuno avrebbe pensato che la Cina avrebbe tallonato nella sua crescita gli USA e che sarebbe diventata la fabbrica del mondo. Oggi, però, la Cina non cerca nuovi export, ma il decoupling, puntando sul superamento del modello di paese-fabbrica del mondo, con più attenzione all’economia domestica che non alle esportazioni. In poche parole, cerca di rendersi indipendente dai suoi partner commerciali attraverso investimenti nell’ordine dei trilioni di dollari. Si tratta del Made in China 2025, un piano varato nel 2015 che prevede massicci investimenti nella ricerca e nell’industria (specialmente tecnologica) del paese, proprio al fine di cercare un isolamento-indipendenza rispetto ai paesi importatori.
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L’autonomia strategica dell’Occidente
La stessa intenzione è stata ripresa dagli Stati Uniti, che, sotto l’egida di Trump, hanno iniziato, nel 2018, una durissima guerra commerciale contro la Cina, fatta di sanzioni e dazi volti a tutelare l’economia americana (con dubbi risultati). In questo panorama, anche l’UE pretende di camminare da sola e, nel 2020, il presidente del consiglio europeo Charles Michel ha ribadito l’importanza di ottenere un’autonomia strategica. Non solo, quindi, sono rinati gli imperi da un punto di vista geopolitico ed economico, ma l’idea stessa di un mercato unico fatto di import ed export viene messa seriamente in discussione. E gli eventi degli ultimi 3 anni, si capisce, non aiutano.
La crisi del modello economico
La pandemia di COVID-19 ha messo di fatto in crisi la Just in time chain supply, il modello per cui le merci vengono spostate non appena servono, senza costi di stoccaggio. Le conseguenze si sono viste sull’economia, con carenze di alcuni prodotti, come chip e materiale elettronico, e l’appiattimento della crescita di molti paesi, costretti a chiudere le frontiere. Con la guerra in Ucraina e l’ostruzione del Canale di Suez le cose non sono migliorate: le ragioni politiche si sono imposte su quelle economiche e le economie, sempre più chiuse, hanno dovuto rinunciare a una nuova fetta di possibili partner commerciali. Di fatto, il crollo della pax americana, durante la quale le economie del mondo globalizzato erano esplose, ha messo in dubbio il sogno di un mondo unico, in pace e ricco. Ad oggi, il mercato unico, interconnesso e interdipendente, ha dimostrato le sue debolezze, e molte zone economiche, tra cui la UE e la Cina, rischiano la stagflazione (in alcuni casi addirittura la recessione).
Problemi anche per le Big Tech
Anche le Big Tech, che sembravano essere l’ultima frontiera della globalizzazione, sia da un punto di vista culturale sia da un punto di vista economico, sono costrette ad una pausa di riflessione. Con il caso Musk-Twitter e la crisi della Silicon Valley, i licenziamenti sono fioccati: quasi 2000 al giorno dall’inizio del 2022. E anche i social media riflettono sull’operato portato avanti fino ad oggi: è stato dato spazio alla quantità e non alla qualità e la fruizione dei contenuti è diventata sempre più tossicamente passiva, perdendo completamente lo spirito iniziale della connessione di persone. A questo vanno aggiungersi i tardivi dubbi su privacy, big data che già avevano destato scandalo nel 2018 con il caso Cambridge Analytica.
Nuove frontiere della globalizzazione politica
Sul piano politico, le cose non vanno molto meglio. Sono ormai anni che, per diverse ragioni, gli stati e la politica sono entrati in una profonda crisi: lo scollamento tra istituzioni e società civile, i rischi per la democrazia connessi a internet, sfiducia e antipolitica, tensioni sociali insanabili e difficoltà a gestire tutte le più importanti sfide della modernità, dalla crisi migratoria a quella climatica. Dal COVID in poi si sono accentuati sempre di più lo scollamento generazionale tra boomer e generazioni X, Y e Z e la distanza siderale tra le grandi città globali e l’immensa vastità dei piccoli centri. L’opinione pubblica non è probabilmente mai stata così polarizzata tra pro-vax e no-vax, tra filorussi e filoucraini, con una fetta sempre più grande di elettorato ormai completamente estranea non solo alla politica, ma a qualsiasi forma di stato o organizzazione sovranazionale. Come se non bastasse, l’Europa è stata pervasa dai populismi, creando di fatto un doppio modello: da un lato la Francia e la Germania, dall’altro la Polonia e l’Ungheria, replicato oltreoceano con la dicotomia Biden-Trump e Lula-Bolsonaro.
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Una correzione della rotta
Dopo la sua grande esplosione, la globalizzazione sembra insomma costretta quantomeno ad un rallentamento, se non addirittura ad una correzione della rotta. La guerra in Ucraina e la crisi del gas ci hanno insegnato che, da un punto di vista economico, bisogna diversificare i paesi fornitori e i partner commerciali: anche l’imprevisto più piccolo (si pensi ancora al caso della porta container Ever Given) può scombussolare un’economia basata sul just-in-time. In poche parole, non si può pensare all’economia mondiale come all’economia di un singolo stato: bisogna tenere conto delle differenze politiche, culturali e degli equilibri strategici e geopolitici. Le istituzioni internazionali, poi, si sono riconfermate cruciali, e forse anche l’UE può cercare di rifondare il proprio ruolo nel mondo e in Europa proprio sulla base dei principi che vengono difesi in Ucraina e che hanno scosso il mondo, ovvero la democrazia, le libertà individuali e i diritti universali dell’uomo. Il raffreddamento della globalizzazione, quindi, può essere l’occasione per una sua correzione e potrebbe persino portare alla nascita di nuove potenze e nuovi equilibri. Se, infatti, fino a qualche anno fa tutto faceva pensare al 2000 come al secolo cinese, oggi la questione si è del tutto riaperta, e non è per nulla detto che il futuro prospetti una nuova guerra fredda. L’unica certezza è che niente tornerà ad essere uguale, come si poteva forse pensare fino ad un paio di anni fa.
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