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Alexander Sokurov

Aleksandr Sokurov: il cinema come mediazione tra uomo e arte

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Sokurov

Nello sperduto villaggio siberiano dall’ignoto nome di Podorvicha, ai confini tra Europa ed Asia, il 14 giugno 1951, nasce il regista Aleksandr Sokurov, destinato a diventare uno dei più visionari e geniali autori della filmografia russa. La sua è un’infanzia itinerante al seguito del padre, militare veterano della Seconda Guerra Mondiale, che per lavoro è costretto a continui trasferimenti dalla Turchia alla Polonia. Viaggi che incidono non poco nella formazione del giovane Aleksandr, che fin dall’adolescenza matura un insaziabile interesse per tutte le forme artistiche, dalla musica al teatro, dalla pittura alla letteratura, alle arti visive, che riuscirà a far confluire in un unico grande contenitore: il cinema. Tornato in patria, Aleksandr Sokurov, si iscrive alla Facoltà di Storia e Filosofia dell’Università di Gor’kij, dove di laurea nel 1974.

L'amico e mentore Andrej Tarkovsky
L’amico e mentore Andrej Tarkovskij

In quegli stessi anni lavora come documentarista presso la locale emittente televisiva, che abbandona dopo la laurea per iscriversi all’Accademia Statale di Cinema di Mosca VGIK, dove nel ’79 conosce l’amico e mentore Andrej Tarkovskij, a cui dedicherà Elegia moscovita (1987), che gli spianerà la strada per il prestigioso Studio Cinematografico Lenfilm di San Pietroburgo. Siamo negli anni del Socialismo reale e Sokurov si scontra fin da subito con l’ideologia di regime: il suo primo lungometraggio di diploma, girato nel 1978, intitolato La voce solitaria dell’uomo, viene censurato con l’accusa di formalismo, e dovrà attendere il 1987 e la perestrojka gorbacioviana per poter circolare nelle sale. La sua formazione di documentarista e la passione per la storia influenzano la sua produzione degli anni ’80 e ’90, ventennio nel corso del quale Sokurov firma una serie di elegie che rappresentano una rivisitazione poetica della storia russa, da Elegia sovietica (1989), ed Elegia dalla Russia (1993), si giungerà, negli anni, sino a Elegia di un viaggio (2002), ed Elegia della vitaRostropovich, Vishnevskaya (2006). La consacrazione internazionale arriva nel 1997 con lo splendido Madre e figlio, premiato al Festival internazionale del cinema di Mosca, un racconto introspettivo sul rapporto tra amore e morte attraverso la sofferenza di un uomo che accudisce la madre prossima alla morte, di un dolore che trova conforto solo nel rapporto con una natura abbacinante, che grazie al sapiente uso della fotografia sembra una tela uscita dal pennello di Caspar David Friedrich. Gli farà seguito nel 2003 Padre e figlio, film che mostra lo scontro tra il morboso attaccamento dell’uno e il desiderio di affrancamento e autonomia dell’altro.

Fotogramma da Taurus di Aleksandr Sokurov (1967)
Fotogramma da Taurus (2000)

Attratto dalle personalità fuori dal comune, Aleksandr Sokurov, dedica una tetralogia al fascino perverso del Potere: Moloch (1999) dedicato alla figura di Adolf Hitler, Taurus (2000) ritratto di un decadente Vladimir Lenin, Il Sole (2005), centrato sull’imperatore giapponese Hiroito, Faust (2010), mito ispirato all’opera omonima di Johann Wolfgang von Goethe, con il quale Aleksandr Sokurov si aggiudica il Leone d’Oro al Festival del Cinema di Venezia nel 2011.

Fotogramma da Francofonia - Il Louvre sotto occupazione (1967)
Fotogramma da Francofonia – Il Louvre sotto occupazione (2015)

Grande sperimentatore, Aleksandr Sokurov, va oltre i canoni del cinema convenzionale plasmando opere travolgenti nate dal vincente connubio tra Arte e Storia, come Arca russa (2003), film girato interamente all’interno dell’Ermitage di San Pietroburgo, e la sua ultima fatica presentata di recente al Festival del cinema di Venezia, Francofonia – Il Louvre sotto occupazione, ambientato nel grande museo parigino, con il quale ribadisce l’indissolubile rapporto tra un popolo e la sua arte. Sokurov è un maestro dell’immagine, fonda uno stile innovativo, dove la complessità e la profondità dei temi trattati sfociano nel sublime, nell’onirico, nel magico. Rivoluziona totalmente l’idea di documentario, che diviene allegoria, mistico simbolismo che getta lo spettatore in uno stato sospeso tra inquietudine e angoscia. Dà una nuova e personale interpretazione di cinema che indaga gli aspetti più intimi della sensibilità umana ricorrendo a potenza evocativa delle immagini.

Fotogramma da Arca russa (2002)
Fotogramma da Arca russa (2002)

Arca russa è sicuramente una delle produzioni più riuscite di una nuova avanguardia artistica. Il film è stato infatti girato tra le sale del museo Ermitage di San Pietroburgo in un giorno solo, il 23 dicembre 2001, e, per la prima volta nella storia del cinema, in un unico piano sequenza di 96 minuti, senza stacchi, pause o qualsiasi intervento di montaggio. Inoltre, sono stati coinvolti ben 867 attori più comparse, per un totale di 2000 persone, 3 orchestre e 33 sale del museo per 1300 metri di percorso. Questo lungometraggio è un capolavoro dirompente che ci fa entrare in una dimensione surreale e fiabesca. Lo scandire del tempo è diverso, è un incessante flusso di coscienza del narratore e del suo inusuale compagno di viaggio, l’anonimo marchese francese Astolphe de Custine, che ci rende impotenti e umili spettatori di uno spettacolo dai tratti meravigliosi. Come il regista-protagonista non sappiamo nulla di ciò che ci circonda e del perché ci troviamo lì.

Fotogramma da Arca russa di Aleksandr Sokurov (2002)
Fotogramma da Arca russa (2002)

La mancanza di un narratore onnisciente ci vincola a una visione limitata e a volte frustrante del non sapere, mentre ci addentriamo insieme a Sokurov in un universo a noi sconosciuto, che si rivela gradualmente in un emozionante alternarsi di cunicoli spogli e claustrofobici e ampi saloni. All’entrata di ogni sala veniamo letteralmente travolti da sculture e dipinti di ineffabile bellezza e raffinatezza. Da momenti di totale astrazione passiamo poi inconsapevolmente a importanti episodi della storia russa (come il ricevimento dell’ambasciatore persiano presso lo zar Nicola I), incrociando nella nostra insospettabile visita grandi personaggi, tra cui Pietro il Grande o l’imperatrice Caterina II, diventati ormai miti e icone di un paese dai mille volti e contrasti.

Fotogramma da Arca russa (2002)
Fotogramma da Arca russa (2002)

Fondamentale nelle due produzioni è la biblica immagine di una titanica arca (da cui Arca russa) che ha il compito di custodire e preservare i più grandi capolavori della storia. L’arca è simbolo di salvezza, rappresenta la speranza di un futuro migliore. Perché l’arca è però colma di opere d’arte? Perché secondo Sokurov la Storia è il nostro futuro. La realtà non avrebbe valore senza la cultura, l’unico modo per salvare la nostra civiltà e costruire qualcosa di nuovo è di guardare al passato, di imparare dall’arte e dagli immortali meccanismi della storia che rendono viva e pregna di significato la nostra contemporaneità. In particolare, in Arca russa l’Ermitage e la grandiosità dei suoi spazi e dei suoi personaggi sono specchio e metafora di un intero paese e di una cultura ormai in decadenza, che in un ballo sontuoso e appassionante simile a un «ultimo canto del cigno» dice inesorabilmente addio a un’epoca ormai sulla via del tramonto. Il museo, emblema di arte e cultura, non è solo uno spazio fisico bensì simbolico dell’identità culturale e civile di una nazione, è Arca della salvezza perché custodisce e racconta agli uomini del futuro i personaggi e le vicende del passato, in modo che la storia non possa cadere nell’oblio.

Fotogramma da Francofonia - Il Louvre sotto occupazione (2015)
Fotogramma da Francofonia – Il Louvre sotto occupazione (2015)

In una tale celebrazione dell’arte come valore indiscusso della nostra umanità sorge nello spettatore un grande interrogativo: è più importante l’uomo o l’arte? Secondo Sokurov uomo e arte sono le due facce di una stessa medaglia, sono inscindibili l’uno dall’altra. È l’uomo che crea l’arte, ma è la stessa arte che dà significato alla vita degli uomini, è necessaria manifestazione di noi stessi.

Aleksandr Sokurov attraverso le suggestioni delle immagini e del colore non è, quindi, andato solo ad esplorare il complesso rapporto tra Russia e Europa, ma ha dato nuovo senso e corso alla cultura in una società umana ormai massificata e alienata. L’arte ritorna protagonista come qualcosa di inquieto e inspiegabile, come qualcosa di cui ci si può solo stupire. Il suo cinema ci fa sentire fragili di fronte alla grandezza di un fenomeno plasmato dalle mani dell’uomo che però sa di divino.

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Valentina Cognini

Nata a Verona 24 anni fa, nostalgica e ancorata alle sue radici marchigiane, si è laureata in Conservazione dei beni culturali a Venezia. Tornata a Parigi per studiare Museologia all'Ecole du Louvre, si specializza in storia e conservazione del costume a New York. Fa la pace con il mondo quando va a cavallo e quando disquisisce con il suo cane.

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