Che relazione c’è tra le discriminazioni di genere e la crisi ambientale? L’ecofemminismo nasce nei primi anni Settanta per rispondere proprio a questo quesito. Con la crescita dei nuovi movimenti ambientalisti, le femministe iniziarono a elaborare teorie interdisciplinari volte a sottolineare la connessione tra le discriminazioni sessiste e gli abusi dell’uomo sulla natura. A partire da questa premessa, arrivarono ad affermare che l’ideologia alla base dell’oppressione razziale, di classe e di genere è la stessa che sancisce il predominio umano sulla natura. Anche se all’interno dell’ecofemminismo vi sono orientamenti che differiscono tra loro, comune è l’adozione di un approccio che tenga conto dell’interdipendenza dei fenomeni che autorizzano le diverse forme di oppressione.
Dualismi
Il femminismo ecologico ha teorizzato l’esistenza nella cultura patriarcale occidentale dei dualismi di valore, coppie opposte ed esclusive in cui una disgiunzione assume sempre un maggiore valore rispetto all’altra. Nei dualismi di valore, il primo termine è comunemente associato al genere maschile, elevandolo, mentre il secondo al genere femminile, svalutandolo. Tra queste coppie, estremamente comune è quella ragione/natura. Sulla concettualizzazione dei dualismi si è soffermata Val Plumwood in Feminism and the Mastery of Nature, dove l’autrice individua cinque caratteristiche tipiche della costruzione delle identità dualizzate. La creazione da parte degli oppressori di una dipendenza dagli oppressi e la negazione della stessa; l’esclusione radicale di un gruppo attraverso la creazione di differenze in modo da giustificare la subordinazione degli oppressi; la svalutazione morale del gruppo che nella disgiunzione è ritenuto inferiore, attribuendo maggior valore al gruppo opposto; la costruzione di un gruppo ritenuto moralmente inferiore e senza interessi morali indipendenti; la negazione delle differenze con coloro che si trovano nel gruppo inferiore della coppia dualizzata[1].
L’Altro della coppia disgiuntiva è stato identificato nel tempo con la donna, con la natura, con gli animali, con le popolazioni indigene e con tutti i gruppi oppressi di oggi. Una correlazione rinforzata storicamente dalle narrazioni suprematiste maschili e bianche, responsabili anche del processo di regressione e svalutazione del ruolo femminile. A tal proposito, alcune ecofemministe sottolineano l’incidenza del passaggio dal culto della dea alle religioni patriarcali, un cambiamento che produsse non solo le gerarchie di genere ma anche la prospettiva di una natura creata da Dio per servire gli uomini.
La morte della natura
Carolyn Merchant sostiene invece che sia stata la rivoluzione scientifica a sancire il relegamento delle donne e della natura nel polo inferiore della disgiunzione. A causa del superamento della visione organicistica del mondo a favore di quella meccanicistica, le teorie di Francis Bacon e Descartes determinarono l’inizio di uno sfruttamento indiscriminato della natura. Allo stesso tempo, il passaggio da una visione geocentrica ad una eliocentrica sostituiva la rappresentazione della terra come madre che nutre a donna incontrollabile che scatena il caos, con il primato dell’uomo generalmente associato al sole[2].
In questo senso, appare chiaro all’ecofemminismo che il paradigma che stabilisce le relazioni di separazione e di dominio è lo stesso sia per le donne che per la natura. Karen J. Warren, attraverso un’analisi del quadro generale su cui si fondano i vari dualismi, ha cercato di far emergere la logica che lega la discriminazione di genere alla depredazione della natura, il ragionamento procede così:
(B1) Le donne sono identificate con la natura e il reame del fisico; gli uomini sono identificati con l’umano e con il regno del mentale.
(B2) Qualunque cosa sia identificata con la natura e con il regno del fisico è inferiore a (sotto) qualunque cosa sia identificata con l’umano e il regno del mentale.
(B3) Quindi, le donne sono inferiori agli uomini.
(B4) Per ogni X e Y, se X è superiore a Y, allora X è giustificato a subordinare Y.
(B5) Gli uomini sono giustificati nel subordinare le donne[3].
Oppressione ed ecofemminismo
Questa rappresentazione mostra la struttura che regge e rafforza i sistemi di oppressione suggerendo, secondo Warren, la necessità di una definizione di obbiettivi comuni tra ambientalisti e femministe. In generale, le ecofemministe ritengono che i due movimenti siano legati in modo consustanziale e che una lotta comune sia l’unico modo per porre fine all’oppressione. Propongono di uscire dagli schemi individualistici in cui soccombono inconsciamente le analisi puramente femministe o ambientaliste o socialiste. Questi movimenti distinguendo diversi gruppi di oppressori e di oppressi, diventano teorie escludenti che non colgono la complessità delle strutture di dominio e che invece di allearsi, rafforzano ciò contro cui vogliono lottare. Un’intuizione di questo tipo costituisce un importante contributo dell’ecofemminismo per i movimenti sociali.
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Ponendo l’enfasi sull’interconnessione di tutte le forme di vita, l’ecofemminismo si oppone all’idea di naturalità delle gerarchie, una critica non solo all’androcentrismo ma anche all’antropocentrismo. “Ciò che rende femminista l’etica ecofemminista è il duplice impegno di critica dei pregiudizi etici maschilisti e di sviluppo di un’analisi che non sia maschilista”[4]. L’etica ecofemminista è sostanzialmente contraria a tutti gli «-ismi di dominazione» sociale. Un’immagine ricorrente è quella che definisce l’etica femminista come un quilt in the making, un processo simile al patchwork, composto da un insieme di ritagli. Il disegno che emerge da questi elementi è quello di una teoria che delinea una moralità equa sia per le donne che per il mondo del non umano e che tratti entrambi in modo legittimo e rispettoso.
La formulazione di un quadro teorico che prenda in considerazione l’oppressione delle donne nel contesto di una molteplicità di oppressioni è il punto di forza del pensiero ecofemminista, lo snodo centrale di una teoria della liberazione che sia coerente con i principi che difende. Porsi dal punto di vista femminile qui non riflette la volontà di opporsi al maschile, bensì l’intenzione di osservare e interpretare il mondo dalla prospettiva dell’Altro. Questa è la relazione che lega il genere all’ambiente, una relazione perpetuata nel tempo a causa di una strategia di dominio che intendeva schiacciare donne e natura, e che adesso è diventata un mezzo per contrastare quegli stessi sistemi di oppressione attraverso la creazione di obbiettivi comuni.
di Rachele Scardamaglia
[1] Victoria Davion, Ecofeminism, A companion to Environmental Philosophy, a cura di Dale Jamieson, Blackwell editori, 2001, p. 235.
[2] Victoria Davion, Ecofeminism, A companion to Environmental Philosophy, a cura di Dale Jamieson, Blackwell editori, 2001, p. 234.
[3] Karen J. Warren, “The power and promise of ecological feminism”, Environmental Ethics 12, no. 2, 1990, p.p. 125-46.
[4] Karen J. Warren e Jim Cheney, Ecological Feminism and Ecosystem Ecology, Hypatia, vol.6 No. 1, 1991, p. 180.