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Morando Morandini

In ricordo di Morando Morandini: una vita per il cinema

Una luce si spegne per la critica del cinema. Oggi ricordiamo l'incredibile critico cinematografico, Morando Morandini

2 minuti di lettura

«Noi critici siamo come eunuchi a guardia di harem senza goderne».

Morando Morandini ha vissuto per il cinema e con il cinema. È stato, per sua stessa ammissione, uno spettatore precoce, un dodicenne che tra mille sorprese sciorinava i nomi di attrici e attori ancora sconosciuti nell’Italia del dopoguerra. Leggeva Filippo Sacchi, critico del Corriere della sera, e all’università recensiva film per il quotidiano cattolico L’Ordine. Porsi con atteggiamento critico davanti alla visione non ha mai inficiato il godimento di una pellicola e Paisà, Cronaca di un amore hanno rappresentato per lui il banco di prova più dolce possibile.

«Da ragazzo avevo due passioni: la letteratura e il cinema. Se mi guardo indietro, posso dire di essere un uomo fortunato: ho fatto coincidere presto uno di quei due amori col lavoro».
Dal circolo cinematografico fondato a Como ai film di Jerry Lewis visti in compagnia di Ugo Casiraghi de l’Unità, da La Notte a Stasera, sempre a sinistra, ma da «liberalsocialista un po’ anarchico». Il problema dei filtri ideologici Morando se lo poneva di continuo, non per moralismo, non per iper correttezza, bensì per non inficiare quella libertà della visione che è alla base di ogni vera arte, tanto più dell’ultima arrivata, quella giovane, che si suol chiamare Settima per convenzione. Amava e recensiva Samuel Fuller, regista convenzionalmente etichettato come destrorso, e sorbiva per questo le critiche di Cinema Nuovo, baluardo di critica marxista, forse troppo arroccato nelle sue posizioni per comprendere il compito vero di un critico libero.

Ritratto di Morando Morandini ad opera di Riccardo Mannelli www.repubblica.it
Ritratto di Morando Morandini ad opera di Riccardo Mannelli
www.repubblica.it

Distinguere la destra dalla sinistra era possibile ma non essenziale e Morando Morandini credeva nella distanza critica, non ideologica. Il confronto con gli altri, critici, spettatori, persino amici, non gli interessava; il cinema è riflessione personale e per scriverne ci vogliono giorni, settimane. È necessario ripensare a quella scena, alle sensazioni provate, alle novità vissute. E le novità le aveva viste tutte, in diretta, Morando Morandini. A Venezia nel ’59 per À bout de souffle soffre e si meraviglia davanti al capolavoro di Alain Resnais Hiroshima Mon Amour, ritratto dell’amore e del dolore, della vita che tenta di rinascere dalle proprie macerie.

Tradizionalista ma al contempo innovatore, Morandini odiava gli “artisti per forza”, coloro che nell’estremo narcisismo dimenticavano di costruire un rapporto con il pubblico. Osare, mostrare, scavare e costruire hanno senso solo se, davvero, si riesce a comunicare con lo spettatore. Dovendo scegliere tra i nemici amici Jean-Luc Godard e François Truffaut era certo di voler buttar giù dalla torre il primo, troppo pungente, a tratti saccente, innamorato di se stesso e della propria arte.

Per lui il cinema era invasione, di contro alla definizione classica e un po’ superficiale di un intrattenimento giocoso volto a realizzare un’evasione dalla realtà. Un film deve cambiare lo spettatore, renderlo migliore, far sì che quello rimanga scosso e ripensi alle immagini, alle parole, per ore ed ore («credo che l’arte in generale ponga delle domande, non dia delle risposte»).
La televisione per lui era spoliazione della coscienza critica, un mordi e fuggi, un bombardamento senza senso di immagini slegate; se gli avessero chiesto di passare dall’altra parte della barricata non lo avrebbe fatto mai.

L’ossimoro con cui amava definirsi era «razionale emotivo», un’immagine unica e puntuale del suo essere critico integerrimo, preciso, autore sintetico e inimitabile di quel Dizionario che porta il suo nome e che rappresenta, oggi, per noi, il suo vero testamento. Non soldi, non terreni, non beni materiali, ma idee e osservazioni, sintesi essenziali di un’idea di scrittura come ricerca e scoperta di sé.

Da oggi il mondo del cinema sarà forse un po’ più triste, gli mancherà una figura vera, autentica, lontana dall’ipocrisia che domina, sovente, il mondo della critica nostrana.

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Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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