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Fernand Legros e la vita come opera d’arte (falsa)

Eccentrico e spregiudicato, mise in piedi una sorta di setta di falsari che faceva capo a lui. E ancora oggi ci fa interrogare sulla considerazione da tenere nei confronti del falso artistico.

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Perché la figura del falsario affascina tanto l’opinione pubblica e non genera, solitamente, l’odio tipicamente riservato a coloro che violano la legge? Questo individuo misterioso, celato, ma da sempre presente nel mondo dell’arte, di cui fa parte a tutti gli effetti, «vive alle spalle [dello stesso] […] e ne esplora i limiti in un intreccio tra indubbio talento, disonestà, capacità investigativa, scienze forensi e una punta di misticismo» (N. Charney, L’arte del falso, Monza, Johan & Levi, 2020, p. 13).

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La falsificazione artistica come fenomeno mediatico

A testimonianza dell’interesse collettivo per gli aspetti psicologici, sociali, culturali, ma anche artistici di questo soggetto così lontano eppure, paradossalmente e nascostamente, così vicino a noi, si possono prendere in considerazione i numerosissimi prodotti culturali – film, libri, documentari, mostre –, ma anche i saggi teorici e di speculazione filosofica circa l’arte e l’ambiguità dell’essere falsario e del suo operare, arrivando a riscontrare quasi una forma di simpatia, seppur spesso velata e mai dichiarata apertamente, per ovvie ragioni.

Fernand Legros
fonte: Flickr

Giudicandone in maniera non moralistica l’opera, si può identificare nella posizione del falsario la continuazione di una prassi ancestrale, perfettamente accettata e legale, legata di norma alle botteghe: essere in grado di imitare la tecnica dei grandi maestri dell’arte. L’inganno perpetrato dal falsario, inoltre, non viene inteso come danno alla popolazione intera, ma a un’élite percepita comunemente come potente e prepotente, oltre che spropositatamente ricca. È una sfida al sistema dell’arte e una messa in mostra delle sue debolezze e contraddizioni; «una sorta di rivalsa del profano sul sacro, dell’umile sul dotto» (C. Casarin, L’autenticità nell’arte contemporanea, Treviso, ZeL, 2015, p. 158). Il falso opera una parodizzazione dello spirito moderno dell’unicità portato avanti da esperti e critici, opponendo la sostituibilità postmoderna e, si può dire, popolare.

Fernand Legros, professione: mercante

Gli artisti, si sa, sono spesso personaggi eccentrici, dediti ai piaceri della vita. Ma peggio di loro, talvolta, sono i protagonisti dell’universo del falso che, sebbene sotto mentite spoglie, non hanno sempre la necessità, ma nemmeno l’accortezza, di passare inosservati. Questo soprattutto se si parla di mercanti di opere artistiche, i quali, non eseguendo materialmente i falsi, pensano di essere legittimati a farsi conoscere dal mondo dell’arte e a lasciarsi andare a ogni vizio e desiderio. Spesso il gioco del piacere e della fama non finisce per loro con il guadagno di enormi somme, sentono la necessità di costruire una mitologia intorno alla propria persona, in modo da risultare ancora più affascinanti e, in qualche modo, credibili agli occhi dei compratori. L’abilità nell’ingannare, nel travestimento e nella costruzione di vite parallele, tuttavia, di frequente non permette agli storici di elaborare una ricostruzione accurata e veritiera della vita di queste persone, che, in casi estremi, potremmo definire mitomani. Raccontare la vita di un mitomane non è compito semplice, ma forse è proprio il connubio tra realtà e finzione, ormai indistinguibili, a rendere ancora più affascinanti queste figure.

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Uno dei più grandi mercanti di falsi mai conosciuti fu Fernand Legros (1931-1983). Della sua vita si sa ben poco di certo. Legros vantò spesso di essere stato ballerino in una prestigiosa compagnia di danza, di aver fatto parte della CIA come agente segreto; accampava conoscenze illustri ma, malauguratamente, i diretti interessati erano quasi tutti morti e, dunque, non potevano confermare né smentire le sue parole. Questa tattica di «chiamare i morti sul banco dei testimoni» (H. Bellet, Falsari illustri, Milano, Skira, 2019, p. 52) fu frequentemente usata dal falsario e si rivelò piuttosto efficace. Fernand Legros fu abile anche nel circondarsi di persone che fossero in grado di renderlo, e poi mantenerlo, ricco, oltre che di testimoni, biografi, giornalisti che potessero raccontare le sue gesta e, non di rado, ingigantirle, abbellirle.

Elmyr de Hory, professione: artista

All’interno della sua cerchia, numerosi erano gli artisti falsari che Legros si occupava di piazzare sul mercato. Un posto d’onore, tuttavia, venne riservato nel cuore del mercante a un personaggio altrettanto eccentrico e bugiardo, con cui instaurò un sodalizio travagliato ma particolarmente florido, nonché, almeno inizialmente, amoroso, che permise a entrambi di arricchirsi notevolmente: Elmyr de Hory (1906-1976), all’anagrafe Elemér Albert Hoffman Hory. Uomo dai mille pseudonimi e dalle mille sfaccettature e personalità,

fingeva di essere un nobile ungherese cacciato dal suo paese dai bolscevichi, parlava cinque lingue, un perfetto esemplare di quegli strani e talvolta straordinari personaggi della Mitteleuropa.

(H. Bellet, Falsari illustri, Milano, Skira, 2019, p. 52)

Elmyr de Hory ebbe una vita molto simile a quella di Fernand Legros: spostamenti continui a causa dei traffici illeciti, tentò il suicidio, si circondò di persone che potessero raccontare la sua storia, tra cui Clifford Irving, biografo e, si scoprì in seguito, falsario a sua volta – pubblicò una biografia totalmente inventata del miliardario Howard Hughes. Era un pittore di talento ma senza originalità, perciò si ritrovò molto presto a realizzare copie dei grandi maestri dell’arte moderna. Incontrò Legros in Messico, dove entrambi si erano rifugiati in seguito a denunce.

Quadri falsi, certificati autentici

Il modus operandi di Fernand Legros era essenziale quanto efficace: mise in piedi una sorta di setta di falsari che faceva capo a lui; si occupava della redazione dei certificati per le opere false utilizzando tutti i trucchi che conosceva e poi vendeva i quadri a musei, aste pubbliche e collezionisti privati. Per circa dodici anni truffò istituzioni e compratori in tutto il mondo, affermando poi di non aver venduto quadri falsi, ma certificati autentici. E in qualche modo era anche vero, in quanto le schede anagrafiche e tecniche dei dipinti non erano realizzate o falsificate da lui; Legros sfruttava il proprio carisma per persuadere coloro che legittimamente avrebbero potuto fornire i certificati: vedove degli artisti, connoisseurs poco accorti, perfino gli artisti stessi, magari invecchiati e con la vista e la memoria non più così buone.

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Insomma, tutto era in regola, eccetto per il fatto che le opere a cui queste carte erano riferite erano del tutto false, e Legros lo sapeva perfettamente. Si può dunque parlare, in questo caso, di errata attribuzione, ma con intento di frode da parte di colui che sottoponeva i dipinti alle verifiche. Un altro stratagemma messo in atto diverse volte dal mercante era mostrare alle gallerie, ai compratori, ai laboratori le opere autentiche per poi, al momento della vendita, sostituirle con dei falsi realizzati appositamente dai suoi artisti. Ciò accresceva la fiducia e la fama di Legros, che divenne sempre meno controllato in quanto ritenuto perfettamente affidabile.

Il declino e la fama presso il grande pubblico di Fernand Legros

Nell’aprile 1967, una vendita all’asta di quadri, tra cui alcuni procurati da Legros, venne sospesa perché nacque in alcuni esperti presenti il sospetto che qualcuna di quelle opere potesse essere falsa. Venne firmato a suo carico un mandato di cattura internazionale e l’arresto avvenne nella primavera del 1968 a Ginevra. Dopo il tentato suicidio, fu trasferito in una clinica e poi ai domiciliari per tre mesi. Dopodiché, Fernand Legros riuscì a ricostruirsi una vita e un alter ego che gli permise di raggiungere la vera ricchezza in Svizzera, attorniato da magnati russi, emiri arabi, potenti di tutto il mondo, pronti a spendere patrimoni per i suoi servizi e le sue opere. Indagato dalla buoncostume, tuttavia, si vide costretto a lasciare clandestinamente il paradiso fiscale. Nel frattempo, in Francia divenne una star del piccolo schermo: furono realizzati documentari, servizi, articoli su di lui e sui suoi collaboratori. Addirittura il grande regista Orson Welles girò un film ispirato alla biografia di Elmyr de Hory scritta da Clifford Irving.

Fernand Legros
Elmyr de Hory, fonte: Flickr

Nel 1973 venne di nuovo arrestato, questa volta a Rio de Janeiro, per poi essere estradato un anno dopo in Francia, dopo sei anni di latitanza. La sua fama in patria crebbe ulteriormente e i prodotti televisivi, letterari con lui protagonista divennero innumerevoli. I capi d’imputazione a suo carico, tuttavia, furono molteplici e per tutti fu ritenuto colpevole e dovette scontare una pena, oltre a dover risarcire ingenti somme a coloro che aveva truffato. Legros aveva screditato il mondo dell’arte parigino e doveva pagare per ciò che aveva fatto. La fine del grande mercante d’arte francese fu misera, considerata la vita lussuosa e sfrenata che, fino a pochi anni prima, condusse: morì di cancro alla gola a soli cinquantadue anni, a casa della sorella maggiore, Marthe, che si prese cura di lui negli ultimi mesi di vita.

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Rebecca Sivieri

Classe 1999. Nata e cresciuta nella mia amata Cremona, partita poi alla volta di Venezia per la laurea triennale in Arti Visive e Multimediali. Dato che soffro il mal di mare, per la Magistrale in Arte ho optato per Trento. Scrivere non è forse il mio mestiere, ma mi piace parlare agli altri di ciò che amo.

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