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Verso le elezioni: le posizioni dei partiti sulla politica estera

Il centrodestra ha legami storici con la Russia di Putin, ma anche nel centrosinistra non mancano le ambiguità sulla politica estera. In vista delle elezioni del 25 settembre, vediamo quali sono le posizioni internazionali dei principali partiti

10 minuti di lettura

«Se vince la destra, a brindare sarà Putin». Queste sono state le parole del segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, a margine del Festival di Dogliani lo scorso 4 settembre. Si tratta però solo dell’ultima di una serie di dichiarazioni con cui il leader del principale partito della coalizione di centrosinistra ha attaccato un centrodestra che sembra destinato a involarsi verso una schiacciante vittoria nelle urne, forte di alcune proiezioni che vedono il polo guidato da Giorgia Meloni accreditato di quasi il 50% dei consensi elettorali. Voti che si tramuterebbero poi, grazie a una intricata e perversa legge elettorale, in una maggioranza schiacciante in Parlamento, tanto che i parlamentari eletti dalla coalizione di cui fanno parte Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia potrebbero oscillare tra il 60 e il 70%. Non dovrebbero stupire gli incontri susseguitisi tra Giorgia Meloni, leader in pectore del centrodestra, e Sergio Mattarella, che si prepara a nominare quello che sarà molto probabilmente un governo il cui baricentro politico è radicato nel conservatorismo più oltranzista. Si tratterà quindi di elezioni dall’esito scontato, come raramente è accaduto nella cosiddetta “seconda repubblica”. Questa però non è la sola novità che questa campagna elettorale ha portato con sé, perché accanto a pensioni, welfare, immigrazione e temi locali a entrare prepotentemente nel dibattito pubblico e per la prima volta ad assumere un peso rilevante sono anche le posizioni dei partiti sulla politica estera, materia sempre negata e considerata dagli italiani come qualcosa di accessorio, indubbiamente d’importanza secondaria rispetto a temi dirimenti quali la costruzione del ponte sullo stretto, che ci accompagna per l’ottava tornata elettorale, o la dote ai diciottenni.

È ovvio sottolineare che per trovare altre elezioni svolte in uno scenario internazionale così complesso e delicato è necessario tornare indietro almeno fino al 1948, quando gli italiani furono chiamati a una scelta di campo che li avrebbe legati per il secolo a venire. Il sistema partitico si divise secondo linee inerenti alla politica estera. Quelle elezioni furono molto più combattute di quelle che ci attendono il 25 settembre, e le conseguenze della scelta (la cui possibilità di fatto poi, a posteriori, esisteva solo sulla carta) che la popolazione fu chiamata a prendere non è comparabile, ma è vero che questo è il contesto che più vi si avvicina, per molti fattori.

Lo scenario internazionale

Il primo di questi fattori è il contesto internazionale. L’invasione russa dell’Ucraina ha cambiato definitivamente gli equilibri nel vecchio continente e non solo. Le ripercussioni del conflitto sono tangibili da tutti, e questo è un aspetto che va molto al di là delle analisi macro-politiche. Il flusso dei profughi, i prezzi dell’energia alle stelle, i visti negati e i timori che accompagnano i combattimenti intorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia (ora spenta) hanno avuto un impatto notevole sulla vita delle persone, e non solo su coloro che sono meno abbienti o istruiti.

Il secondo fattore è legato alle posizioni che la politica italiana ha assunto per far fronte proprio a questo mondo che sembra di colpo riportarci indietro nel tempo. Alcune parti della politica italiana si sono dimostrate ambigue, camaleontiche o coerenti con loro stesse e con la loro storia politica, quasi senza accorgersi che da sei mesi a questa parte molto, se non tutto, è cambiato. Entrambe le coalizioni che si candidano a governare hanno al loro interno partiti o correnti di questo tipo, e la posizione sulla guerra in corso non è il solo tema fonte di dibattito.

Le posizioni dei partiti di centrodestra sulla politica estera

La coalizione di centrodestra è senza alcun dubbio quella più compromessa, si per quanto riguarda appunto la posizione da assumere riguardo la Russia, sia per i futuri rapporti tra un possibile governo a trazione nazionalista e l’Unione Europea.

Forza Italia e il rapporto di Berlusconi con Putin

Forza Italia è sempre stato il perno attorno a cui l’intera coalizione ruotava, almeno fino al 2018. In questo senso il partito di Silvio Berlusconi si è sempre posto come garante della posizione italiana, alla testa di una coalizione euroscettica si, ma non antieuropeista e convintamente atlantista. Se sul fronte europeo la collocazione e la storia di FI non lasciano spazio a particolari dubbi, ma sul fronte russo i rapporti intrattenuti in passato da Berlusconi con Putin e la ritrosia con cui il padre-padrone del partito ha condannato l’invasione russa non sono piaciuti a molti. Si tratta di rapporti personali più che politici, ma alcuni deputati di FI si sono trovati in difficoltà nel commentare alcune frasi attribuite proprio a Berlusconi negli ultimi sei mesi. Parte degli attriti tra Gelmini, Carfagna, Brunetta, Elio Vito e i vertici del partito vertevano appunto (tra le altre cose) anche su queste ambiguità semantiche.

La Lega e i legami con Russia Unita

La Lega di Matteo Salvini è stato il partito che più ha pagato invece quella che era più di una comunanza ideologica con Russia Unita. Numerose inchieste, giornalistiche e giudiziarie, hanno investito il partito negli ultimi anni e personaggi vicini alla Lega come Gianluca Savoini sono stati allontanati solo recentemente, di fronte alla necessità impellente di rifarsi un’immagine. Proprio Savoini, nell’aprile del 2014, al tempo presidente dell’associazione culturale Lombardia-Russia e consigliere di Matteo Salvini proprio riguardo ai rapporti con la Russia, dichiarava a San Pietroburgo che «la nuova Europa guarderà con grande interesse alla Russia e le elezioni del 25 maggio daranno un grande risultato ai partiti identitari, che non vogliono più il dominio americano sull’Europa» e che «all’Europa non interessa niente dell’Ucraina. Sono stati gli americani e la Germania, per mettere basi Nato in Ucraina, vogliono circondare la Russia e i nostri governi sono schiavi degli interessi americani». L’annessione della Crimea era avvenuta solo due mesi prima.

Nel 2017, invece, Matteo Salvini passeggiava sulla Piazza Rossa con una t-shirt sulla quale era stampato, inconfondibile, un ritratto di Putin in abiti militari. Più tardi dichiarerà che sarebbe stato disposto a scambiare «due Mattarella per un Putin». L’accoglienza riservatagli pochi mesi fa al confine polacco dal sindaco di una piccola cittadina di confine che cercava di far fronte al flusso di profughi ucraini che scappavano dalla guerra è li a dimostrare che all’estero, forse, la popolazione tende a ricordare più a lungo le uscite più o meno folkloristiche dei politici, anche di quelli nostrani. Matteo Salvini spinge da anni per eliminare il sistema di sanzioni imposto alla Russia dopo l’annessione della Crimea del 2014, e la degenerazione del conflitto che abbiamo visto negli ultimi mesi non sembra davvero intaccare l’affinità che lega il leader leghista e il regime putiniano. A sancire questo legame c’è anche un “gemellaggio” tra la Lega e Russia Unita firmato nel 2017, che prevede tra le altre cose scambio d’informazioni, opinioni, punti di vista tra i due partiti. Il memorandum, inutile dirlo, è stato oggetto di pesantissime critiche

Da ricordare anche l’intervista rilasciata da Salvini a Dugin, il filosofo ultra nazionalista e panslavo che ha recentemente perso la figlia in un attentato a Mosca. Considerare Dugin l’ideologo di Putin come rilanciato da diverse testate giornalistiche è un’esagerazione frutto della fantasia, ma le teorie reazionarie e del filosofo russo sono note da anni, radicali a tal punto da essere mal sopportate anche negli ambienti moscoviti.

Fratelli d’Italia tra nuova collocazione e sovranismo

La terza componente della coalizione è rappresentata appunto da Fratelli d’Italia, i cui trascorsi sono noti a tutti, nonostante il profondo lavoro che Giorgia Meloni sta portando avanti per rendere il partito presentabile, degno di fiducia agli occhi di un elettorato che cresce sempre più. La Leader di FDI in passato si è lasciata spesso andare anch’essa a dichiarazioni dure, feroci nei confronti dell’Unione Europea, dipingendola come un covo di banchieri e speculatori che non ha a cuore gli interessi dell’Italia, in alcun modo. In diversi attacchi non è difficile rintracciare nemmeno velate accuse antisemite, soprattutto riguardo al mondo legato alla finanza. Nonostante le posizioni assunte in passato però ora sembra che proprio FDI sia la componente meno ambigua del trio sul piano internazionale, con il partito di Meloni che da una parte ha sostenuto dal primo giorno gli aiuti all’Ucraina in termini di armamenti e dall’altra ha condannato fermamente e senza esitazioni l’invasione russa.

Non vi è per ora modo di verificare se l’opera di Meloni sia solo di facciata o se durerà nel tempo, ma in questo senso è utile notare che tra le candidature presentate dal partito spicca quella di Giulio Terzi di Sant’Agata, diplomatico di lungo corso, già Ministro degli esteri con Mario Monti, ambasciatore in Israele, rappresentante permanente alle Nazioni Unite, ambasciatore negli Stati Uniti. Un diplomatico di lungo corso che molti vedono come il possibile nuovo Ministro degli esteri italiano, succedendo a Luigi di Maio. In un’intervista rilasciata recentemente, Terzi si è soffermato a lungo sulla linea di politica estera del partito, sottolineando la collocazione atlantista ma approfondendo anche l’idea di una difesa comune maggiormente integrata, definita come un percorso ineludibile. Non una dichiarazione di poco conto da parte di un candidato di un partito che si dichiara, o dichiarava, orgogliosamente sovranista. L’ambasciatore prosegue poi analizzando i rapporti con Iran e Cina, sostenendo posizioni che si direbbero molto vicine a quelle di stampo repubblicano più oltranzista.

Alcuni osservatori credono che questa nuova postura, per quanto funzionale a rassicurare un elettorato che, essendo sempre più vasto, ha necessità e punti di vista differenti rispetto a quello proprio della base post-fascista cui il partito ha sempre attinto, difficilmente resisterà alle tensioni interne nel momento in cui la guerra dovesse protrarsi ancora per diversi mesi, cosa che sembra assai probabile. È utile ripercorre però anche la rete di relazioni costruita negli ultimi anni con il modo delle destre sovraniste e radicali, europee ma non solo. Uno dei sostenitori più accaniti di Giorgia Meloni è infatti Steve Bannon, controverso ex consigliere di Donald Trump con più di qualche scheletro nell’armadio: già condannato per oltraggio al Congresso e ora incriminato per frode nell’ambito della campagna di raccolta fondi da lui organizzata per sostenere la costruzione del muro al confine tra US e Messico. Con il tempo Meloni ha preso le distanze da Bannon, diventando socia dell’Aspen Institute nel 2021 e partecipando a tre edizioni del Conservative Political Action Conference, la principale conferenza annuale dell’ala destra dei Repubblicani. I rapporti con la destra sovranista sono poi profondi e articolati: la leader di FI è stata in passato ospite d’eccezione delle convention di VOX, partito neo franchista spagnolo, dal cui palco Meloni ha urlato slogan contro la cultura della morte, l’immigrazione, la violenza islamista e le lobby LGBT.

Vi è poi il gruppo di Visegrad, e in particolare Viktor Orban, uomo forte ungherese con il quale FDI, e Giorgia Meloni in particolare, ha contatti e relazioni profonde. Non è un segreto l’ammirazione dei sovranisti nostrani per un uomo che fa della democrazia “illiberale” un esempio di governo. La stretta sulla magistratura e sui media indipendenti ha fatto alcune vittime celebri in Ungheria negli ultimi anni, ma Fidesz si trova in buona compagnia: anche i leader di Polonia e Repubblica Ceca perseguono un’agenda politica non troppo differente, e anche con loro Meloni ha ottimi rapporti. Sarà curioso vedere come, una volta al governo, FDI coniugherà le dichiarazioni di Terzi con la linea politica del partito, che nonostante la svolta recente conta ancora molti sostenitori. Sarà interessante anche vedere come sarà gestito il tema dell’immigrazione, che per forza di cose obbligherà il governo a trattare con le autorità libiche e magari anche a prendere una posizione seria e risoluta su di una crisi potenzialmente esplosiva e che continua da anni a poche decine di km dalle nostre coste. Quando Meloni si accorgerà che non è possibile piazzare metà delle nostre forze navali a pattugliare i mari di fronte alla Sicilia, per motivi sia pratici che di diritto internazionale, sarà allora utile trovare una soluzione diplomatica e concordata.

Le posizioni dei partiti di centrosinistra sulla politica estera

La coalizione di centrosinistra presenta anch’essa delle ambiguità. Il Partito Democratico ha sempre sostenuto una linea di politica estera fortemente europeista, esprime un commissario di peso come Paolo Gentiloni, il compianto David Sassoli aveva un ruolo fondamentale al Parlamento Europeo. Anche la collocazione atlantista non è mai stata in dubbio. Ciò che però solleva qualche perplessità, e che ha pesato anche nella definizione delle alleanze pre-elettorali, sono state le posizioni sollevate da Sinistra Italiana sul sostegno a Kiev e sull’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO, al quale Nicola Fratoianni, segretario del partito, si è opposto fino al voto contrario in parlamento. Si tratta di un tema importante, che ha creato non poco imbarazzo al partner di maggioranza della coalizione. Non sono un segreto in questo senso i malumori antiamericani di una parte della sinistra radicale, che da sempre ne condizionano la postura internazionale.

Le ambiguità del Movimento Cinque Stelle

Il M5s si presenta alle elezioni con una storia di rapporti internazionali travagliata almeno tanto quanto quella della destra. Alcuni fatti in particolare hanno contribuito a incrinarne la reputazione: la firma del memorandum sulle Vie della Seta, da parte del governo Conte I nel 2019, il sostegno ai Gilet Gialli e alle loro proteste, e la postura che ora tengono sulla questione Ucraina. Si tratta in tutti e tre i casi di passi falsi importanti, alcuni dei quali hanno obbligato i governi successivi a dietrofront e giustificazioni non semplici. In particolare l’intesa firmata con la Cina tre anni fa ha costretto il governo Draghi a ritrattare molte delle concessioni che l’allora governo sovranista fece nei confronti della penetrazione cinese nel paese. È significativo l’uso che recentemente è stato fatto del golden power per evitare acquisizioni di aziende strategiche nazionali da parte di controparti cinesi, uso che si è molto intensificato con il cambio della guardia a Palazzo Chigi. Anche l’iniziale vicinanza a partiti anti-establishment europei ha pesato sul Movimento, isolandolo a livello europeo almeno fino al decisivo contributo per l’elezione della presidente Von Der Leyen. L’anima movimentista non ha però mai apprezzato davvero alcune capriole operate dal ministro Luigi Di Maio riguardo i rapporti con Unione Europea e Stati Uniti, e questo ha sicuramente influito sulla rottura che ha portato alla nascita della nuova creatura politica guidata proprio dall’ex vicepremier e ministro degli esteri.

La non ambiguità del Terzo Polo

Vi è poi infine il Terzo polo composta da Carlo Calenda e Matteo Renzi, accreditato di una percentuale di voti che dovrebbe variare tra il 5 e il 10% nel migliore dei casi. Si tratta della coalizione che presenta oggettivamente meno ambiguità sul posizionamento internazionale dell’Italia, sia per quanto riguarda i rapporti con l’UE che con Stati Uniti, Cina e Russia.   

In conclusione

Per concludere, alcune delle principali forze politiche candidate a governare il paese si portano appresso ambiguità storiche e alleanze presenti difficili da coniugare con gli interessi italiani. È raro che la politica estera abbia un peso così rilevante sulle elezioni italiane, anche se questa influenza è stata forse in larga parte sovrastimata dai media. Per quanto importante, a decidere davvero sarà la stanchezza degli italiani di fronte a dieci anni di “mala politica“, che ha esasperato il paese e lo ha condotto nelle braccia di chi per anni ha potuto gridare indisturbata ricette banali dai banchi dell’opposizione, per poi cambiare maschera quando la possibilità di governare è divenuta concreta. La colpa però è anche di chi glielo ha permesso.

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Michele Corti

Nato a Lecco nel 1996, studente di Scienze Politiche. Amo la montagna in ogni sua veste, il vento in faccia in bicicletta, la musica e provo a destreggiarmi nella politica internazionale, cosa fortunatamente più semplice rispetto a quella italiana."

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