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Francesco Guccini alla Fiera delle Parole, un ritratto

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3 minuti di lettura

– «Pensare di illustrare Francesco Guccini è un’enorme minchiata. Voglio quindi chiedere a Francesco Guccini di illustrare Francesco Guccini».

– «Be’, visto il tema della serata, “Non so che viso avesse. La storia della mia vita”, ecco la storia della mia vita: sono nato il 14 Giugno 1940 e sono ancora vivo».

Non so che viso avesseInizia così il sabato sera della Fiera delle Parole; aperto con questo divertente scambio di battute fra Massimo Cirri (conduttore radiofonico, psicologo e autore teatrale) e il cantautore modenese, nell’ampio salone del Palazzo della Ragione ricco di affreschi quattrocenteschi. Dietro il volto di Guccini, faccia da montanaro di pianura, si legge opus Donatelli. Si tratta della riproduzione rinascimentale in legno del Monumento al Gattamelata di Donatello, ma chissà, anche il Guccio potrebbe essere un capolavoro medievale. Se non fosse che al posto dell’armonia e dell’alta filosofia ci aspetti la voce, un po’ burbera e un po’ vinosa, del cantante di Pavana, capace di ammutolire centinaia di persone ricordando aneddoti quotidiani. 

Racconta subito che il suo sogno da bambino non era fare il pompiere, l’astronauta, né tantomeno il cantautore. Da piccolo fantasticava sul suo futuro da scrittore; ed ora in effetti si è realizzato, dopo l’abbandono dalle scene musicali, lasciandoci L’ultima Thule (2012) come ultimo disco. Non ha remore a confessare che «i concerti sono stancanti, le canzoni non arrivano più. Non ho il fisico, non ho più la manualità per suonare». Non tocca più nemmeno la chitarra, dice. La vena cantautorale che si è persa, tuttavia, si è riversata tutta in quella letteraria – non che le due non siano legate. Con queste parole rievoca la genesi del primo romanzo, Cròniche epafàniche (1989): «Mentre mi trovo davanti al PC per scrivere un’opera mondiale, mastodontica, altissima, famosissima come  il “Dizionario del dialetto di Pavana”, mi sono chiesto “perché non scrivere il romanzo che da tempo mi gira nella testa?”». Da allora Francesco Guccini scrive tre romanzi ambientati nelle tre città della sua vita: Pavana, appunto, in Cròniche epafàniche; Modena in Vacca d’un cane (1993) e Bologna in Cittanòva blues (2003).

Fonte: bravonline.it
Fonte: bravonline.it

Il tema da cui sbocciano tutti gli altri motivi cari all’autobiografia del cantautore è, dunque, Pavana. Lì ha vissuto l’infanzia, e  lì sta spendendo la sua vecchiaia, accogliendo i fan provenienti da tutta Italia. Preferisce non barricare la propria casa, come usano alcuni suoi colleghi, ma lasciarla libera a tutti. Massimo Cirri gli rammenta di quando sono venuti 400 ragazzi da Bologna, con una locomotiva a vapore, per omaggiare canzone e cantante. Ed ecco spuntare la natura di Guccini: «Pavana è piccola, in questo non aiuta. Appena in un negozio arriva qualcuno che chiede “dov’è la casa di Guccini?”, subito dicono “è là!” (risata del pubblico). Io li accolgo, cosa devo fare del resto? Penso a Jim Morrison, al cimitero di Père Lachaise, a Carlos Gardel e alle statue che gli hanno dedicato in Argentina… ma io ve lo dico: inutile che mi veniate ad omaggiare! Sono ancora vivo, se volete venite a salutarmi!».

Successivamente, l’illustre ospite – che potremmo chiamare oratore, per l’abilità retorica – rievoca i suoi esordi con la scrittura, i primissimi incontri con la parola scritta. Deludenti, purtroppo. Nel 1957 arriva l’ondata del rock’n’roll, e il giovane modenese prende in mano la chitarra, sulla scia di Bill Haley, Gene Vincent e Gerry Mulligan. Nel frattempo, si iscrive a Lettere per l’anno accademico ‘58/’59, ma riesce a dare solo l’esame di filologia romanza. «Presi 26 con un professore con cui si poteva prendere 30 anche sputandogli in un occhio», commenta ironicamente. Poi, la svolta tanto attesa, la chiamata a La gazzetta di Modena, al giornalismo che gli avrebbe spalancato le porte per il suo vagheggiato futuro da scrittore. Dopo un primo articolo dal dubbio interesse, sui 50 anni di attività di tale suora Eustachio Maria Peloso (il capocronista glielo fece riscrivere tre volte), riesce a guadagnarsi il posto per due anni al quotidiano locale. I ritmi, tuttavia, sono insostenibili: Francesco Guccini ogni giorno, compresa qualsiasi domenica, è costretto a lavorare da cronista, dalle 15 alle 20 e dalle 21 alle 2/3, per guadagnarsi ventimila lire al mese. «L’unica volta che sono andato in ferie è stato per due settimane, e non me le hanno pagate».

Sabato sera, dunque, Padova è stata in balia dei racconti del Guccio, il salone gremito – tanto da lasciare fuori molte persone – è stato cullato dalla voce di Guccini, mai stucchevole nella sua malinconia. Anzi, la conclusione è stata all’insegna della risata, con l’elogio alla «lettura in bagno, seduti sulla tavoletta… una cosa fantastica». La nota più commovente è stata il ricordo dei genitori, di quella madre carpigiana, così chiacchierona, e di quel babbo pavanese, impiegato delle Poste assorto nella sua passione per la storia e per le lettere. La continua rievocazione di Pavana, dai castagneti oramai abbandonati a se stessi, e dei monti Appennini, popolati da creature leggendarie, tratteggia tutte le altre comunità contadine italiane, il passato dei nostri nonni. Ma mai con un abbandono nostalgico, «perché, lo voglio ricordare un’altra volta: io, Francesco Guccini, sono ancora vivo!». Al termine dell’evento, l’artista modenese ha concesso qualche autografo e poi, seccato del rituale, se n’è andato accompagnato, fra gli altri, dal suo amico Sergio Staino.

Andrea Piasentini

Fonte: repubblica.it
Fonte: repubblica.it

Redazione

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