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Friedrich Nietzsche e il senso della morte di Dio

Nel celebre aforisma 125 de «La Gaia Scienza», il filosofo tedesco annuncia la morte di Dio. Ma cosa intende Nietzsche?

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Friedrich Nietzsche, senz’altro «il più celebre fra gli assassini di Dio» (come lo definisce Albert Camus ne Il mito di Sisifo), anche se non il primo, afferma esplicitamente per la prima volta in un’opera pubblica che Dio è morto, nel celebre aforisma 125 (L’uomo folle) de La Gaia Scienza:

Dov’è andato Dio? […] ve lo voglio dire! Noi lo abbiamo ucciso, – voi e io! Noi tutti siamo i suoi assassini! […] dell’odore della putrefazione non sentiamo ancora nulla? – anche gli dei imputridiscono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso.

(F. Nietzsche, La Gaia Scienza, a cura e trad. it. di Carlo Gentili, Torino: Einaudi, 2015, pp. 130-140):

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L’uomo folle de La Gaia Scienza cerca Dio, ma cerca l’uomo, poiché Dio, in Nietzsche, è proiezione dell’uomo. La distanza Dio-uomo si fa sempre più insignificante fino a svanire. Le cause della morte sono chiare: per Nietzsche Dio non è morto da sé, ma è stato ucciso da noi. La morte di Dio non è un fatto strano o sorprendente, ma un avvenimento necessario; è l’incredulità del pubblico a essere fuori luogo. «Vengo troppo presto […] non è ancora il mio tempo», è costretto a proseguire l’uomo folle.

L’annuncio anticipato non cancella ovviamente la veridicità di esso. Noi lo abbiamo ucciso, e questo è un paradosso contrario al Dio cristiano: Dio è causa di sé stesso (causa sui), solo Dio può decidere della propria morte; che si lasci uccidere corrisponde alla progressione del concetto di Dio al suo ultimo stadio, alla decisione dell’incarnazione: il massimo atto sacrificale che Dio poteva compiere per l’uomo, porta alla conseguenza ultima dell’auto-causazione, alla sua morte, che ha il senso di una kenosis, di uno svuotamento nell’uomo, di un auto-superamento

È fondamentale che l’affermazione specifica di Nietzsche non dichiari la mancanza, la non esistenza, ma la morte di Dio. Sarebbe perciò assolutamente equivoco intendere l’annuncio di Nietzsche come un semplice passaggio dalla tesi all’antitesi, dall’esistenza alla non esistenza. Dio con la sua morte si compie; se l’atto avviene in apparenza fuori da Dio, è però Dio stesso che per compiersi muore, replicando il sacrificio di Gesù Cristo mandato sulla terra e ponendo sé stesso alla fine di un’era. Tale morte compiente è necessaria per coerenza, per l’amore di verità, la parola di verità che lo stesso cristianesimo insegna:

Si veda che cosa ha davvero riportato la vittoria sul Dio cristiano: la moralità cristiana stessa, il concetto di veridicità inteso con sempre maggior rigore, la sottigliezza da padri confessori della coscienza cristiana, tradotta e sublimata in coscienza scientifica, in pulizia intellettuale a qualunque prezzo.

(La Gaia Scienza, af. 357, p. 268).

Nietzsche non nega Dio, lo pone all’interno di una storia. Ciò che preoccupa maggiormente Nietzsche, tuttavia, non è la presa di coscienza della morte, quanto la paura delle ombre che Dio lascia dietro di sé. Sembriamo pronti ad accogliere il messaggio, ma altrettanto pronti a sostituire il Dio cristiano con altro, a dimostrare che il problema dell’uomo oggi non sia la dipendenza dalla divinità-Dio cristiano in sé, quanto la necessità di fede metafisica, di una fiducia che oltrepassi la terra. Finché c’è fede in altro e altrove, l’uomo non ha necessita di imporre sé stesso qui.

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L’annuncio è giunto troppo presto, poiché «ci troviamo forse ancora troppo sotto alle conseguenze più immediate di questo evento» (La Gaia Scienza, cit., af. 343, p. 233). La critica di Nietzsche, strettamente connessa all’annuncio della morte di Dio, è evidente dal titolo dell’opera in cui essa è dichiarata: per l’appunto, Gaia Scienza: «Si vede che anche la scienza riposa su una fede, non esiste affatto una scienza “priva di presupposti” […] è pur sempre una fede metafisica, quella sulla quale riposa la nostra fede nella scienza» (La Gaia Scienza, cit., af. 344, pp. 234-236). Essa non può che essere considerata valida solo dal punto di vista umano, non può che rider di sé stessa e farsi per l’appunto gaia, senza la pretesa di essere disvelatrice di verità assoluta. 

Le ombre del Dio morto si riversano anche sulla politica. Il socialismo ateo è un altro grande paradossale evento storico per Nietzsche: da dove la pretesa di una morale cristianeggiante (dell’uguaglianza tra gli uomini, degli “ultimi” che saranno premiati), se colui che ha dettato tale legge è rimasto vittima del suo sacrificio? «Noi siamo tutti uguali, l’uomo è l’uomo; davanti a Dio, siamo tutti uguali! Davanti a Dio! Ma ora questo Dio è morto» (Così Parlò Zarathustra: Un libro per tutti e per nessuno, a cura di e trad. it. di Marina Montanari, Milano: B.U.R, 1965, p. 317).

Si tratta di rimanere chiusi nel circolo della fede metafisica, di assolutizzare valori senza diritto: «politici rivoluzionari, socialisti, predicatori di penitenze con e senza Cristianesimo […] così arraffano le filosofie della morale che predichino una qualche sorta di imperativo categorico» (La Gaia Scienza, cit., af. 5, p. 37). Socialismo come Cristianesimo senza Dio è definizione critica anche di Dostoevskij, tramite le parole del principe Myskin: «in ciò appunto consiste il nostro errore, nel fatto di non poter ancora vedere che questa faccenda non è esclusivamente teologia […] anche il socialismo è un prodotto del cattolicesimo e di essenza cattolica; come suo fratello, l’ateismo, è sorto dalla disperazione, come reazione morale contro il cattolicesimo, per sostituirsi al perduto potere morale della religione, per spegnere la sete spirituale dell’umanità assetata e salvarla non col Cristo, ma con la violenza!» (F. Dostoevskij, L’idiota, trad. it. di Giovanni Faccioli, Milano, B.U.R., 1954). 

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È vero, dunque, che il Dio morto è una presenza ombrosa e pesante, ma tale annuncio, per chi è in grado di accogliere il messaggio, si accompagna per Nietzsche a un sentimento gioioso: «le sue conseguenze per noi sono, al contrario di quanto ci si potrebbe attendere, nient’affatto tetre e rabbuianti, appaiono semmai come una nuova specie, difficile da descrivere, di luce, di felicità, di sollievo, di rasserenamento, d’incoraggiamento, di aurora…» (La Gaia Scienza, cit., af. 343, p. 233). Essere piantati nell’oggi della vita sensibile è il senso della nostra serenità.

Costanza Vizzani

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