Evidentemente colpevole
Se tanto è stata condannata l’apparenza, colpevole ignobile perché ignorante, scevra di quella consapevolezza profonda e intima – al tal punto da essere nascosta, celata nel fondo oscuro della verità -, bisogna pur riconoscere quanto l’imputata fosse stata preventivamente messa a tacere dall’altisonante ridondare di un’accusa invadente, quanto un ospite indesiderato che osa lamentarsi della scarsa ospitalità ricevuta.
Perché puntare il dito contro l’evidenza delle cose, al netto di quanto il ritmo incessante del loro accadere possa essere fastidioso? Forse è più comodo addentrarsi in un bosco oscuro, con la scusa sempre pronta di quanto possa essere facile perdersi al buio, piuttosto che doversi scontrare con un muro insormontabile.
Lungi dall’indire un’indulgenza plenaria dell’ovvio, restare saldi alla superficie può essere sufficiente per garantire una comprensione esaustiva, piuttosto che pretendere di esaurire la gamma infinta di possibilità rispetto a ciò che accade.
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Formalmente accettabile
La forma, tanto vituperata perché traditrice di un presupposto contenuto più verace, non tradisce, piuttosto traduce, rende intellegibile.
La possibilità di creare una realtà altra, dove la credenza non sottintenda il vero o il falso, ma si limiti a proporre un gioco immaginativo è in grado di mettere a fuoco le forme in cui la vita si propone, per farle esplodere e mostrare il paradosso di una forma che si mostri per la sua totalità, senza la pretesa di una verità nascosta dall’apparenza stessa.
Così accade a Teatro, nel momento in cui viene tacitamente stipulato il patto tra pubblico e personaggi. Uno sguardo estraneo, ovvero come la felicità è diventata una pretesa assurda, in scena al Teatro i dal 18 al 29 maggio invita con acume e accortezza ad assumere la prospettiva di chi, cercando incessantemente un punto di riferimento sappia riconoscersene privo.
Esplodere la forma
La coraggiosa scelta drammaturgica per Uno sguardo estraneo, di Linda Dalisi con la regia di Paolo Costantini indaga il quotidiano e la forma nevrotica con cui si presenta: l’intelligenza del rappresentarlo consiste nel conferire una forma totalizzante che non lasci spazio ad altro.
Come prima tappa di produzione La Biennale di Venezia, il progetto vincitore del bando Biennale College Registi Under 30 2020/2021 sotto la direzione artistica del maestro Antonio Latella sconfessa l’agognata catena causale a cui di norma ci si aggrappa per scongiurare l’horror vacui e la finzione scenica lascia spazio a una nevrosi imperversante.
Le attrici di Uno sguardo estraneo, Evelina Rosselli e Rebecca Sisti prendono parte con vigore e passione a un meccanismo sconfinato in cui vige l’accumulo: forma contradditoria perché intrinsecamente amorfa.
Liberare la verità
Lo spazio e il tempo si annullano: le forme per antonomasia della nostra esperienza si frantumano per ricostituirsi come dispositivo performativo in cui non esiste alcuna distanza o durata.
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Se dalla scrittura di Herta Müller, che con il romanzo Oggi avrei preferito non incontrarmi ha preso avvio il percorso creativo della messa in scena, il punto focale verso cui si dirige l’immaginazione riesce ad evadere qualsiasi modello o schema imitativo del reale per consentire un’estraneità verso se stessi lucida e consapevole.
La forma della vita a teatro acquisisce la possibilità di tradurre i comportamenti umani in un linguaggio libero dal giudizio binario del reale veritiero e irreale falso, così la rappresentazione della realtà si gode il lusso di proporre un punto di vista, e non imporre un giudizio.
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