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La rivoluzione non è lavoro per tutti,
ma liberazione dal lavoro

4 minuti di lettura

Il-super-sfruttamento-del-lavoro-nella-Fiat-di-Melfi

di Aurelio Lentini

È necessario, per non dire inderogabile, che le giovani generazioni si siedano a tavolino per chiedersi: «che cosa facciamo?»
Attenzione al lessico, facciamo, non faccio. La ragione è semplice: non è possibile che a riflettere sulle contraddizioni e le angosce che ci sommergono fino al collo siano sempre gli altri. Altri che queste contraddizioni le vivono ma le subiscono in maniera diversa, vuoi perché alle spalle hanno un diverso vissuto, vuoi perché davanti, banalmente, hanno meno da fare.

Qualche giorno fa su questo stesso nostro giornale è cominciata una discussione sul lavoro, che rivendicava un concetto tanto basilare quanto infausto: il lavoro, qualunque esso sia, si paga. Proseguendo su questo stesso orizzonte di pensiero, però, sarebbe importante spostare la linea del conflitto avanti e smettere di combattere battaglie solo nelle nostre retrovie.

Noi non stiamo evolvendo, non avanziamo, ma stiamo cercando di retrocedere il più lentamente possibile. Bisogna tornare ad avere movimenti di avanguardia che militino su un’idea: la rivoluzione oggi non è lavoro per tutti, ma la liberazione dal lavoro.

lavoroQualche giorno fa, su Il Manifesto, Franco Bifo Berardi scriveva una verità che stentiamo ad ammettere: «di lavoro ce ne sarà sempre di meno». Insistere, come fa la maggior parte dei governi, sull’aumento della produzione (crescita), sull’aumento dell’occupazione e sull’aumento del lavoro, significa continuare a procedere contromano in autostrada correndo sempre più veloci contro il casello.

Continuare a parlare di crescita, quando la decrescita è già un fatto reale (altro che auspicato) vuol dire non voler vedere la realtà che ci si presenta davanti agli occhi, o pretendere che gli altri siano così scemi da credere che la realtà sia un’altra. Di fronte al crollo delle immatricolazioni nei settori “deboli” (come piace a Stefano Feltri, ma anche le facoltà ad alto tasso di “impiegabilità” hanno vita breve), alla lotta senza quartiere contro i salari e lo stato sociale, all’impoverimento generale della maggior parte della popolazione a fronte dell’arricchimento di una sempre più piccola parte, lottare per strappare un posto di lavoro a due euro all’ora, o un corso di formazione gratuito per fare curriculum, non è né eroico, né sano: è da mentecatti.

LAVORO MINORILEBisognerebbe spiegare a questi signori, che pure si sforzano di capire i nostri problemi, come mai noi non si scenda invece nelle piazze per sovvertire il disordine costituito. Non possono più essere il lavoro, la difesa del lavoro e della piena occupazione le nostre priorità. Perché sono cose già passate. L’unica possibilità per giocare d’anticipo, o quantomeno per restare sulla breccia, sulla linea del fronte, è rinsaldare quei corpi sociali mutilati fatti di singoli individui e associazioni di categoria per rivendicare, a costo di bloccare il paese, la separazione del reddito dal lavoro.

Fare la rivoluzione, cambiare i rapporti di equilibrio tra chi sottomette e chi è sottomesso, non significa lavorare di più, né difendere il lavoro al costo di una peggiore condizione di vita: significa smettere di lavorare in queste condizioni.

Le battaglie che ogni “povera crista” e “povero cristo” ogni mattina devono protrarre sono combattute contro i cadaveri dei loro compagni rimasti nel canale di scolo, i nemici sono dalla parte opposta: anzitutto perché se al lavoro retribuito è subentrato il lavoro gratuito, la svalorizzazione del lavoro è già un dato di fatto, non uno spettro che rischia di ottenebrare le nostre vite; secondo perché non solo è già stato messo in questione il valore del lavoro, ma anche la libertà della persona rispetto al lavoro: un articolo di Marco Bascetta, sempre sul Il Manifesto, evidenzia i rischi del cosiddetto «baratto amministrativo», fondato sull’articolo 24 del decreto Sblocca-Italia, il quale «prevede che singoli e associazioni possano proporre interventi, “pulizia, manutenzione, abbellimento di aree verdi, piazze, strade ovvero interventi di decoro urbano, di recupero e riuso con finalità di interesse generale”, in cambio di sconti fiscali».

Oltre agli sgravi fiscali però è già in atto l’estensione del baratto amministrativo al saldo di debiti contratti precedentemente, cioè viene ammesso lo scambio diretto tra il lavoro e un debito che non può essere pagato altrimenti. Un lavoro in cui «il debitore si trova infatti in una oggettiva condizione di debolezza, non deve avere ma restituire, il suo potere di contrattazione è pari a zero». Con un simile scivolamento, continua Bascetta , «si attenta inevitabilmente alla libertà della persona. Si certifica che i suoi diritti sono subordinati a quelli dei creditori. E si sblocca, in una forma o nell’altra, il ritorno della servitù debitoria».

3361aPertanto, rivendicare lavoro in una piazza, quando sulla stessa piazza ci sono persone che lo offrono gratis, a condizioni ottocentesche, o peggio ancora in una forma che si avvicina preoccupantemente alla servitù, sarebbe come insistere a offrire 25 euro a un’asta dove sono già stati offerti  100, 150 e 200 euro.

Combattere per ottenere reddito, o più reddito, o lo stesso reddito dal proprio lavoro è una battaglia già persa, perché ci saranno sempre meno lavoro, meno necessità di occupazione e meno reddito e tutele (il jobs act  è oggi, non sarà domani) per quelli che restano occupati.

Dunque a noi la scelta: continuare su questa strada, in cui la monetizzazione è un concetto che ormai viene applicato tranquillamente anche ai servizi essenziali – sanità, educazione e stato sociale – e cercare, ognuno a modo suo, di salvare il proprio deretano (consapevoli però che molti non si salveranno); oppure si prende il cannone e lo si comincia a indirizzare dalla parte giusta, si comincia una battaglia vera per ottenere il reddito di cittadinanza (qualcosa che non è insito nei sogni di quattro utopisti ma è parte dei bisogni futuri – nemmeno tanto futuri – necessari a soddisfare una condizione di vita dignitosa) e nel frattempo si affianca a questa la lotta contro il sistema di sfruttamento che parte dalle università e non finisce più che si chiama solo in un modo: lavoro gratuito (o, per gli oppiomani, stage, tirocini formativi, volontariato).

Ma soprattutto evitiamo almeno l’onta morale che siano gli altri a dover combattere, anche solo con le riflessioni, una guerra che è la nostra.

Qui l’articolo di Franco Bifo Berardi
Qui l’articolo di Marco Bascetta

 

 

 

 

Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

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