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Siamo entrati nella seconda fase della guerra in Ucraina

Da circa una settimana la guerra in Ucraina è in una nuova fase. Le truppe russe hanno velocemente cambiato disposizione e strategia sul campo, tanto da far credere che anche gli obiettivi dell’invasione siano cambiati. Cosa succederà ora?

6 minuti di lettura

Da circa una settimana la guerra in Ucraina è entrata in una nuova fase. Le truppe russe, dopo aver a lungo minacciato Kiev, Odessa e Leopoli, hanno velocemente cambiato disposizione e strategia sul campo, tanto da far credere che anche gli obiettivi finali dell’invasione iniziata il 24 febbraio non siano più gli stessi.

Prima fase della guerra in Ucraina

Il 24 febbraio, poche ore prima che le truppe russe invadessero simultaneamente l’Ucraina da Nord, dalla Crimea e dal Donbass occupato, Putin tenne un discorso che oggi è fondamentale per inquadrare questi primi due mesi di conflitto: in primo luogo definiva l’Ucraina un errore sovietico, una creatura di Lenin, che deve la sua esistenza non ad un moto proprio ma alla benevola (o sciagurata, dal punto di vista dell’autocrate russo) concessione del rivoluzionario bolscevico. In secondo luogo, definiva non altrettanto chiaramente gli obiettivi dell’operazione militare speciale in corso, ovvero «denazificare» e smilitarizzare il paese. Si tratta di obiettivi in questo caso sfumati, che hanno lasciato spazio a libere interpretazioni, anche autorevoli, ma sempre basate sulla percezione di ciò che gli eventi lasciavano trasparire di giorno in giorno. La battaglia per Kiev non è mai avvenuta, nonostante (o a causa?) il lunghissimo convoglio fermo per giorni fuori dalla città, la nave ammiraglia del Mar Nero, la Moskva, ha segnato il più importante disastro militare in campo navale dalla Seconda guerra mondiale, poi ci sono stati i missili vicino Leopoli, le fosse comuni, le proteste dei cittadini a Kherson, la prime reazioni occidentali e cinesi, la conta dei voti alle Nazioni Unite.

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Vulnerabilità russe in Ucraina

Ora che i russi hanno riorganizzato forze è forse anche più semplice ridefinire gli obiettivi, tenendo però in grande considerazione un punto: all’inizio la sorte dell’Ucraina sembrava essere una conseguenza più o meno diretta di quanto i russi fossero disposti a impegnarsi per prendersi il paese. L’indecisione, le piccole sconfitte ed i tentennamenti dei primi giorni erano stati interpretati come una forma di attenzione da parte delle forze russe per non alienarsi una popolazione amica, affine. Oppure come un tentativo, cruento sì ma su scala minore, di obbligare l’occidente a sedersi al tavolo delle trattative sfruttando una posizione di forza. Ora è chiaro invece che l’esercito russo sconta limiti enormi, seppur per anni ben dissimulati dietro la gloria del passato che fu. Ora i presupposti sono drasticamente cambiati. Le forze ucraine, evidentemente sottovalutate nonostante anni di addestramento e efficientamento, hanno retto l’urto iniziale ed hanno riconquistato parte dei territori contesi.

Il supporto americano all’Ucraina

Questo capovolgimento di fronte ha sorpreso in primis il più importante alleato del paese, gli Stati Uniti: in un articolo uscito recentemente, Alan Friedman sostiene la tesi che la guerra, dal punto di vista americano, si sia velocemente trasformata da una causa persa, che al massimo poteva servire a compattare un’Alleanza Atlantica disunita e criticata e a rafforzare la guerra economica, in un’opportunità strategica capace di assestare alla Russia un colpo difficile da incassare. Recentemente Joe Biden ha chiesto al Congresso uno stanziamento enorme, oltre 30 miliardi di dollari, proprio perché gli apparati hanno intravisto questa concreta possibilità, piegare l’orso russo nel lungo periodo consapevoli che, con la sola eccezione delle risorse naturali, al paese manchino uomini, tecnologia, logistica, capacità.

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La guerra in Ucraina è anche unno scontro anche ideologico

Dal punto di vista russo, ma non solo, la crisi ha prodotto anche un cambiamento nella narrativa. I media e l’establishment sono passati dal descrivere i fatti come parte di una fantomatica “operazione militare speciale”, utile a convincere la popolazione che quella contro l’Ucraina, paese fratello e dove molti russi hanno tutt’ora parenti e amici, non fosse davvero un’invasione su larga scala, allo sdoganare invece la parola guerra, anche se in un contesto più ampio. Ora infatti la narrazione di regime inizia a mettere lo stato ucraino in secondo piano, nonostante venga ancora descritto come «nazista», corrotto e nonostante l’accusa di genocidio interno nei confronti della popolazione russofona. L’attenzione si sta spostando su quella che viene definita una guerra per procura, dove l’avversario è costituito dalla NATO stessa, con in testa ovviamente gli americani e gli europei al seguito. Dati gli ultimi sviluppi, è difficile dargli torto, anche se è evidente che nessun soldato dell’Alleanza si trovi direttamente su suolo ucraino. Ha ripreso forza anche l’ipotesi di uno scontro valoriale, che vede la popolazione russa impegnata in una missione messianica contro i disvalori occidentali, decadenti e corrotti. La fine del secolo americano.

Regno Unito

Dal punto di vista occidentale invece i toni si sono notevolmente alzati, soprattutto da parte americana e britannica. Il governo di Boris Johnson sembra intestarsi una nuova resistenza contro l’oppressore in cerca di sangue e conquiste, talvolta richiamando esplicitamente il momento in cui la Gran Bretagna resisté da sola, per mesi, alla furia nazista. Chi sosteneva l’Appeasement ieri non sarebbe diverso da chi chiede di procedere con cautela ora. Peccato che già quello con Neville Chamberlain, sarebbe un paragone improbabile per Johnson. Figurarsi con il suo successore.

Francia

La rielezione in Francia di Macron segna una continuità nella politica estera del maggior attore europeo, ed è un bene, a prescindere dalle simpatia personali. Il presidente francese non si è mai lasciato andare a dichiarazione sopra le righe, ha sempre condannato fermamente e sostenuto l’invio di armamenti a sostegno della causa ucraina (e occidentale in senso lato), ma non si è mai lasciato trasportare dall’euforia anglosassone. Con Marine Le Pen all’Eliseo forse staremmo parlando di altro.

Germania

Il governo tedesco invece è il grande malato del continente, il più colpito dai fatti in corso, e mal volentieri ha accettato di alzare il livello del coinvolgimento militare. Sembra che in Germania la politica sia reticente nel comprendere che il «business as usual» non sarà nemmeno preso in considerazione ai tavoli delle trattative. Nel frattempo, i media russi hanno commentato l’invio di alcune decine di carri Leopard ironizzando sul fatto che i tedeschi potrebbero disegnarci sopra una svastica, così da farsi riconoscere. In realtà però, se qualcuno non ha mai fatto i conti con il passato, quelli sono proprio i russi, che vivono di memoria e nella storia vogliono, forse fuori tempo massimo, rientrare.

L’affondamento della nave Moskva

Il fatto che certamente ha segnato una svolta è stato l’affondamento della nave ammiraglia Moskva. È evidente il fatto che le forze ucraine da sole non avessero la tecnologia e la capacità necessarie per colpire un obiettivo di quella portata, ed il fatto che a poca distanza, sul delta del Danubio, vi sia un’importante base americana non ha fatto altro che rafforzare l’ipotesi di un attivo coinvolgimento di britannici ed americani. Nonostante la propaganda si sia affrettata nel ridimensionare l’accaduto, e chiaro che sia stato un importante colpo a livello militare e d’immagine.

Minaccia in Transnistria

Altro elemento che costituisce un’importante novità è il possibile coinvolgimento della Transnistria, dove si sono registrati alcuni lanci di missili contro obiettivi governativi. Non è chiaro se e quando il contingente russo presente nel paese, rimastovi pressoché ininterrottamente dopo la caduta del muro di Berlino, interverrà nella guerra in corso. Nella piccola repubblica separatista sono presenti circa 2-3mila soldati russi, che sommati alle milizie separatiste costituirebbero una seria minaccia all’integrità territoriale moldava. Nonostante negli ultimi trent’anni lo Chisinau non abbia mai esercitato una sovranità effettiva sulla regione, la questione è quanto mai delicata, e la piccola repubblica potrebbe rappresentare de facto una nuova enclave, sul modello di Kaliningrad. Se ciò dovesse accadere, la città di Odessa, affacciata sul Mar Nero ed al momento unico porto nella completa disponibilità ucraina, correrebbe il rischio di vedersi accerchiata e tagliata fuori dal resto del paese.

Guerra in Ucraina: Donbass e Mariupol

Sul fronte del Donbass è difficile stabilire cosa stia accadendo realmente, di certo c’è solo il fatto che i combattimenti nella zona intensificheranno di nuovo. Le immagini di Mariupol distrutta, a tratti simile a Dresda ed Aleppo, sono qualcosa di sconvolgente, a prescindere da un migliaio o poco più di simpatizzanti nazisti a cui piace leggere Freud asserragliati tutt’ora nei tunnel sotto l’acciaieria. La sensazione è quella che la città potrebbe non essere l’ultima ad essere rasa al suolo dalle truppe russe. Kharkiv, la seconda città del paese, e Kramatorsk potrebbero presto essere teatro di pesanti scontri, anche se visti i precedenti la prima potrebbe costituire un osso durissimo per i soldati di Mosca, che sono sostanzialmente gli stessi che hanno abbandonato, per inadeguatezza e non per scelta, il piano iniziale di prendersi forse l’intero paese.

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L’ultima notizia in ordine temporale è anch’essa inaspettata, e ribalta completamente le ipotesi iniziali. Ora la data del 9 maggio, anniversario della vittoria nella Grande guerra patriottica, viene indicata come il giorno in cui Putin potrebbe dichiarare guerra totale all’Ucraina, mobilitando così tutte le risorse disponibili. Poche settimane fa, la stessa data sembrava la più indicata per l’annuncio della fine dell’operazione speciale da parte del Kremlino, sulla Piazza Rossa davanti a centinaia di migliaia di persone. I tempi cambiano velocemente, la guerra è tornata a dettarli.    

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Michele Corti

Nato a Lecco nel 1996, studente di Scienze Politiche. Amo la montagna in ogni sua veste, il vento in faccia in bicicletta, la musica e provo a destreggiarmi nella politica internazionale, cosa fortunatamente più semplice rispetto a quella italiana."

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