fbpx
Mille piani rizoma

Leggere «Mille piani». Introduzione: rizoma

«Mille piani. Capitalismo e schizofrenia» di Deleuze e Félix Guattari cerca, tramite l’elaborazione di una teoria della molteplicità, di pensare il reale nel suo complesso. Ma vediamo cosa significa

11 minuti di lettura

Perché un commento a Mille piani? Se è forse un paradosso tentare di raddoppiare un libro, cercare nei suoi interstizi i non-detti che emersi rischiareranno un significato nascosto, oppure giocare sulla trasparenza delle parole, connettere i segni con acribia esegetica come se non ci fosse nessuna viscosità del discorso, come se esso si desse puro al nostro sguardo di lettore, certamente è ancor più paradossale voler commentare Mille piani. Mille piani non è un oggetto: «in quanto concatenamento, è se stesso solamente in connessioni con altri concatenamenti, in rapporto con altri corpi senza organi».

Concatenare

Cos’è un concatenamento? Una logica concreta; che cos’è un corpo senza organi? Il limite delle logiche, del desiderio, ciò su cui insistono i concatenamenti. Ma ci arriveremo più avanti. Il punto è che un commento a Mille piani, benché di principio possibile, resta un’impresa risibile: ogni piano commentato non sarebbe altro che l’inaridimento dello stesso, un tentativo di connettere quel concatenamento specifico a un concatenamento mortifero che lo vuole subordinare a un principio d’ordine e d’unificazione, che lo vorrebbe immobilizzare in un significato. Il rigore dell’analisi irrigidisce ciò che taglia

Deleuze e Guattari lo dicono: un libro è un concatenamento che va verso l’organismo come totalità di significazione e verso il corpo senza organi come fenditura per intensità asignificative. Anche i nostri articoli devono essere concatenamenti più che commenti, macchine che cercano di innestarsi su mille piani, di cartografare di volta in volta un piano con il duplice compito di mostrarne i significati e di liberarne le molteplicità. Intendiamo che gli articoli devono fare rizoma con Mille piani, permettere il trasferimento d’occhi da questa serie alla serie di Mille piani, legare il lettore a una lingua così magmatica e bizzarra come quella di Deleuze e Guattari, oppure respingerlo qualora sentisse prurito (la lettura è un esercizio umorale e di nervi).

Un protrettico, quindi, o qualcosa del genere. Certo, dobbiamo mostrare al lettore che cosa significhi questo, che cosa quello, cos’è un rizoma? Cosa un CsO? In che rapporto sta il concatenamento con la macchina astratta? Ma vogliamo anche installare le nostre macchinette desideranti nelle macchine di Mille piani, far ruotare il libro, in qualche modo usarlo (alla fin fine far vedere come si fa a usare Mille piani è forse il miglior modo per far leggere e usare Mille piani). Probabilmente non ci riusciremo e spesso gireremo a vuoto noi insieme al libro. Anche questo, forse, è un buon modo per rendergli onore.

Leggi anche:
Su «Immunità comune» di Roberto Esposito

Deleuze e Guattari

Mille piani. Capitalismo e schizofrenia (questo il titolo completo) nasce come continuazione del volume che Gilles Deleuze e Félix Guattari (d’ora in poi DG) avevano scritto insieme nel 1972, segnando l’inizio di un sodalizio filosofico cruciale per tutta la seconda metà del ‘900.

Deleuze era all’epoca una voce intellettuale per molti versi già accreditata nella Francia degli anni Sessanta, impostasi sulla scena filosofica con testi importanti dapprima dedicati alla storia della filosofia, e poi dal carattere più marcatamente speculativo come Differenza e ripetizione e Logica del senso. Qui, egli quali tentava un ribaltamento del paradigma teoretico dominante – quello dialettico-fenomenologico delle «tre H», come disse Deleuze, i tre filosofi di riferimento per l’accademia francese del secondo dopoguerra: Hegel, Husserl, Heidegger – attraverso un recupero, articolato nei termini di una filosofia della differenza affermativa, di pensatori poco frequentati in quel contesto: Hume, Spinoza, Bergson, Nietzsche.

Completamente diversa, invece, era la formazione di Guattari. Lontano dagli ambienti filosofici, Guattari si era fatto conoscere in Francia soprattutto come attivista politico, militando – e venendo espulso – nelle fronde del partito comunista, e, più tardi, della sinistra dissidente (e, più tardi ancora, sia a destra che a sinistra con i nascenti movimenti ecologisti). Guattari si era formato come psicanalista e psichiatra, partecipando (oltre a lavorare insieme al fratello nella clinica di La Borde) ai leggendari seminari di Lacan negli anni ’50, del quale sarebbe diventato dapprima collaboratore e poi, insieme a Deleuze, fervente critico.

Guattari, avanguardista esplosivo, scava e raccoglie i cristalli, mediati da Freud e Marx. Deleuze, limatore esperto, li lavora e dà loro la forma, sulla scia di Nietzsche, Bergson e Spinoza.

«Mille piani» rizoma

L’anti-Edipo, il desiderio

Il primo esito di questa inconsueta collaborazione è L’anti-Edipo, il volume che precede il nostro Mille piani. Il punto di partenza de L’anti-Edipo era costituito da una «serrata critica alla teoria e alla prassi psicanalitica, vista come tecnica di irreggimentazione e castrazione del desiderio». Qui DG tentavano di smontare il concetto freudiano-lacaniano di desiderio, imperniato su una visione statica dell’oggetto desiderato, tale per cui – questo il punto da criticare – si desidera sempre “qualcosa”, come se quel qualcosa fosse una rappresentazione astratta di un in-sé archetipico. Così scrive Deleuze nel suo Abbecedario:

[Io e Guattari, a proposito dell’anti-Edipo] volevamo dire la cosa più semplice del mondo […] Non si desidera mai qualcosa di isolato. Per di più, non desidero neanche un insieme, desidero in un insieme. (…) In altre parole, non c’è desiderio che non scorra – proprio così: che non scorra  in un concatenamento. Dunque, per me il desiderio è sempre stato… Se cerco il termine astratto corrispondente a desiderio, è costruttivismo. Desiderare è costruire un concatenamento, costruire un insieme. L’insieme formato da una gonna, un raggio di sole, una strada… il concatenamento di una donna, di un paesaggio, di un colore. Ecco cos’è il desiderio.

Il desiderio è una macchina, che forgia concatenamenti, che costruisce, produce come una fabbrica. Esso va liberato, va costruito.

Leggi anche:
Che cosa può un corpo? Spinoza e il divenire acefalo

Mille piani

Ora, questo progetto – che darà voce, sino a diventarne un manifesto, ai movimenti studenteschi postsessantottini –   si giocava su una serie di concetti che ne l’Anti-Edipo venivano tematizzati, per così dire, in negativo, in funzione cioè, kantianamente, di una critica della visione dell’Inconscio concepito come teatro, come rappresentazione, come riflesso di un in-sé originario (la colpa, la madre, il fallo). In Mille piani tale operazione assume invece una forma più propositiva, o meglio, costruttiva, capace di far forma filosofica e articolare entro un quadro speculativo di più ampio respiro quei nuclei tematici rimasti nel testo precedente allo stato di armi da battaglia. Scrivono DG:

Mille piani rivendica […] un’ambizione post-kantiana (benchè risolutamente anti-hegeliana). Il progetto è “costruttivista”. È una teoria delle molteplicità per se stesse, là dove il molteplice passa allo stadio di sostantivo, mentre L’anti-Edipo lo considerava ancora in sintesi e sotto le condizioni dell’Inconscio.

Ecco il punto: Mille piani si libera di Edipo. Il molteplice – vedremo tra poco cosa ciò significhi – passa dall’interiorità dell’Inconscio all’esteriorità del mondo, della realtà, del cosmo. Mille piani è un testo di filosofia della natura, di cosmologia, che cerca cioè, attraverso l’elaborazione di una teoria della molteplicità, di pensare il reale nel suo complesso. È per questo che esso può forse considerarsi, pur nell’esplosiva innovatività che produce e lungi dalle accuse di scarso rigore speculativo, un testo “classico” di filosofia.

Molteplicità

Mille piani tenta di costruire, come si è detto, una teoria della molteplicità. Che cosa significa ciò? Significa che il primato – metafisico, ontologico e pratico – attribuito dalla tradizione filosofica occidentale all’Uno quale espressione della sintesi va rovesciato, anzi, scardinato, infranto. Tutte le figure cardine della filosofia – il Bene platonico, il motore immobile aristotelico, l’Assoluto hegeliano – dimenticano l’irriducibile frammentarietà, che non è né individuazione né essenza, del reale. Frammentarietà che non può essere riportata, e perciò disciolta, entro un orizzonte totalizzante, o, come scrivono DG, «si fabbrica un buon Dio per dei movimenti geologici».

«Mille piani» rizoma

Una molteplicità si compone di dimensioni che si ripiegano e inviluppano le une sulle altre, ed ogni dimensione riprende e si prolunga sul territorio a lei vicino. Questo il punto: va pensato, laddove il pensiero è per eccellenza ciò che astrae, sintetizza, riconduce all’Uno, questa disgiunzione molteplice delle singolarità che compongono il reale. «Non si sa ancora quel che il molteplice implica quando cessa di essere attribuito, ossia quado è elevato allo stato di sostantivo». Questo, ci sembra, è il grande obiettivo ontologico al quale DG guardano lungo il corso di Mille piani. Ed è questo il punto che tenteremo di svolgere di qui in avanti.

Leggi anche:
Riflessioni sul senso e la concretezza della morte

Libro-radice vs Libro-rizoma

Molteplicità è il concetto sul quale si apre l’incipit del testo, del quale respiriamo ancora oggi tutta l’aria liberatrice: «Abbiamo scritto L’anti-Edipo in due. Poiché ciascuno di noi era parecchi, si trattava già di molta gente».

Ciò si rispecchia inoltre nel significato del titolo del libro. Si tratta di piani e non capitoli, infatti, in quanto ciascuno di essi non sta con gli altri in una relazione sequenziale stabile. «Chiamiamo piano – scrivono DG – qualsiasi molteplicità connettibile ad altre per steli sotterranei superficiali». Ogni piano, in questo senso, può venire prima o dopo il successivo/seguente a seconda della volontà di chi legge. Sono rayas, strisce, strati, linee che si biforcano, incrociano, infittiscono e creano significati o rotture nell’incontro: come lo Rayuela di Julio Cortazar, dove il lettore è invitato a costruire l’ordine del romanzo. Questa molteplicità strutturale desostanzia, ancora una volta, la forma unitaria che prende il libro nella nostra coscienza comune, inteso come qualcosa di unitario e in sé conchiuso.

Ecco cosa significa costruire una molteplicità: innescare un concatenamento (lettura del libro- ordinamento dei piani-scatenamento di un pensiero), non definire significati, ma misurare territori e cartografie, ossia trasformare la potenzialità di qualcosa che c’è già in atto. «Il libro non ha più nemmeno oggetto. In quanto concatenamento, è se stesso solamente in connessione con altri concatenamenti».

Il binomio uno/molteplice si concretizza, in queste prime pagine di Mille piani nella contrapposizione tra due figure – il libro-radice e il libro-rizoma – che esprimono non solo due tipi differenti di ordinare e costruire il sapere, ma anche di pensare la realtà. Il libro radice è, scrivono DG, «l’albero», ciò che incarna l’armonia composita e unitaria delle parti:

È il libro classico, come bella interiorità organica, significante e soggettiva […]. Il libro imita il mondo, come l’arte la natura […]. La legge del libro è quella della riflessione, l’Uno che diventa due. […] Ogni volta che incontriamo questa formula […] ci troviamo davanti al pensiero più classico e più riflesso, il più vecchio, il più stanco

È il pensiero dell’Uno, che riduce tutto ad unità, alla sintesi, che procede in verticale – gli alberi di Chomsky, l’albero della vita, gli alberi logici di Porfirio – per opposizioni binarie, dicotomizzando il reale per far rientrare il molteplice nella struttura. Taglia sempre in due ciò che c’è. L’albero ha dominato tutto il pensiero Occidentale, dalla botanica all’anatomia, dalla gnoseologica all’ontologia, dalla psicanalisi alla metafisica.

A quest’idea di un ground, di un fondamento verticale arboreo, DG affiancano il libro-rizoma, introducendo il concetto chiave di questa sezione introduttiva di Mille piani. Lasciamo la parola a DG:

Sottrarre l’unico della molteplicità da costituire; scrivere in n-1. Questo sistema potrebbe essere chiamato rizoma. Un rizoma come stelo sotterraneo, si distingue assolutamente dalle radici e dalle radicelle. I bulbi, i tuberi sono rizomi […] Le tane lo sono, in tutte le loro funzioni di habitat, di provvista, di spostamento, di schivata e di rottura. Il rizoma in se stesso ha forme molto diverse, dalla sua estensione superficiale ramificata in tutti i sensi fino alle sue concrezioni in bulbi e tuberi. Quando i topi scivolano gli uni sotto gli altri. C’è il meglio e il peggio nel rizoma: la patata e la gramigna, l’erbaccia. Animale e pianta, la gramigna è il crab-grass

Il libro-rizoma parte dal mezzo, privilegia l’orizzontalità, è «un’antigenealogia», accoglie, produce il molteplice, costituisce non un’opposizione all’albero-radice, ma l’unica via di fuga da esso.

«Mille piani» rizoma

Caratterizziamo ancor più nello specifico il rizoma attraverso i suoi principi – «approssimativi» – elencati da DG.

Leggi anche:
Cinque piani: i “migliori” libri di filosofia del 2021 (secondo noi)

I principi del rizoma

1. Principio di connessione e di eterogeneità: «qualsiasi punto di un rizoma può essere connesso a qualsiasi altro e deve esserlo». In un rizoma un codice, ad esempio linguistico, è nei fatti connesso a codici di diversa natura (sociali, biologici, economici, eccetera) e a stati di cose non necessariamente segnici. I concatenamenti collettivi degli enunciati, ossia le logiche dei codici, funzionano direttamente nei concatenamenti macchinici, ovvero nella logica delle cose, ed è impossibile stabilire una cesura di principio fra un regime di segni e un regime macchinico. Un rizoma non cessa di collegare disparati anelli: ora semiotiche, ora lotte di potere, ora istituzioni, ora mimica, ora arti o scienze, producendo così «un tubero che agglomera atti molto diversi». Il rizoma è la sintesi disgiuntiva inclusiva de L’anti-Edipo sostantivata, come molteplicità in azione

2. Principio di molteplicità: la molteplicità non è il molteplice che si oppone all’Uno, non è l’immagine sbiadita, degradata di un principio di unificazione che sotterraneamente opererebbe; «solo quando è effettivamente trattato come sostantivo, come molteplicità, il molteplice non ha più nessun rapporto con l’Uno come soggetto o come oggetto, come realtà naturale o spirituale, come immagine e mondo». Una molteplicità non ha né soggetto né oggetto, non si predica di null’altro all’infuori di sé stessa, non è molteplice a qualcosa, ma ha soltanto determinazioni, grandezze e variazioni. Un rizoma, ossia una molteplicità, non si lascia surcodificare in un’unità superiore, non dispone mai di un’asse che la porterebbe all’unificazione, ma è un piano di consistenza, il fondamento o suolo su cui si possono innestare le macchine astratte che distribuiscono le molteplicità e i concatenamenti che le regolano. L’unico rapporto che la molteplicità può intrattenere con l’Uno è di sottrazione, la funzione n-1 in cui al molteplice è sottratto l’agente surcodificante per esser fatto molteplicità.

3. Principio di rottura asignificante: «contro i tagli troppo significanti che separano le strutture o ne traversano una. Un rizoma può esser rotto, spezzato in un punto qualsiasi, riprende seguendo questa o quella delle sue linee e seguendo altre linee». Il rizoma è un processo: dovunque viene interrotto, ecco che riprende la sua passeggiata schizofrenica, come uno sciame di formiche. Ogni rizoma ha delle linee di segmentarietà che lo stratificano, lo significano, lo territorializzano, e delle linee di deterritorializzazione attraverso cui fugge (linee di fuga); quando un segmento esplode, esso prende a correre su una linea di deterritorializzazione: una rottura non determina l’interruzione del rizoma, ma una sua deviazione costitutiva, l’aberrazione fondamentale di ogni suo movimento. I movimenti di fuga (deterritorializzazioni) e le segmentarietà (territorializzazioni) sono relative: ogni qualvolta in un rizoma s’attua una deterritorializzazione, ecco che subito accade una riterritorializzazione e così via. L’esempio famoso è quello dell’orchidea e della vespa: l’orchidea fa rizoma con la vespa perché si deterritorializza nell’immagine della vespa come la vespa si territorializza in quest’immagine; e viceversa la vespa si deterritorializza come apparato riproduttore dell’orchidea che si riterritorializza grazie al trasporto del polline. Vi è un’evoluzione aparallela fra enti eterogenei, almeno in alcuni casi: un pezzetto di codice viene trasportato altrove, magari da un virus o da un calabrone, e viene ritrovato da qualche altra parte, senza che l’uno sia modello dell’altro.

4. Principio di cartografia e di decalcomania: «un rizoma non è soggetto alla giurisdizione di nessun modello strutturale o generativo», ossia, come per la vespa e per l’orchidea, non c’è una causazione reciproca che faccia dell’una modello strutturale o genetico dell’altra, non c’è calco che assicuri la transazione fra le due specie; piuttosto queste si cartografano, sperimentano in presa sul reale, fanno rizoma. Il rizoma è carta e non calco perché la carta è performativa e sperimentale, ha molteplici entrate e non riproduce alcunché; piuttosto produce, crea, modifica di volta in volta mentre diviene e in connessione con ogni suo punto.

Leggi anche:
Intorno al contributo dell’ultimo Foucault

Conclusione: rizoma

Il rizoma è il metodo che guida la stesura di Mille piani («scriviamo questo libro come un rizoma») e dunque il principio alla base della cosmologia che in esso viene delineata. La sua caratteristica fondamentale è che non si lascia riportare all’Uno, ma si prolunga in concatenamenti indefiniti, connettendo un punto qualunque a un altro punto qualunque. Esso non ha inizio né fine, ma sempre un mezzo, e costituisce «molteplicità lineari a n dimensioni senza soggetto». È tutto qui: pensare questo mezzo, questo n-1, questa gramigna senza Generale, acentrata, non gerarchica – pensarla davvero. Pensare, radicalmente, la molteplicità.

Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!

Segui Frammenti Rivista anche su Facebook e Instagram, e iscriviti alla nostra newsletter!

Mattia Brambilla

Sono laureato in filosofia presso l'Università degli Studi di Milano; amo il pensiero e le lettere, scrivo e mi diletto con gli scacchi.

Giovanni Fava

25 anni; filosofia, Antropocene, geologia. Perlopiù passeggio in montagna.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.