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Design sostenibile per un futuro non degradabile

Un prodotto di design è intrinsecamente artificiale e come tale ha un impatto estraneo sulla realtà naturale. Ma è possibile immaginare un design sostenibile? Progetti come Isola Design District, FormaFantasma e Homo Faber dicono di sì.

5 minuti di lettura

Il termine “design” e l’aggettivo “sostenibile” si fanno oggi strada, accoppiati, in un contesto umano che, pur non volendo rinunciare all’”artificiale”, sente e sposa la necessità di non impattare eccessivamente con i suoi prodotti sul “naturale”. Design è il disegno, il progetto di qualcosa che l’uomo pensa di realizzare nel mondo fisico tramite le sue facoltà mentali e le sue doti operative. Un prodotto di design è quindi per sua natura intrinsecamente artificiale e come tale ha un impatto estraneo sulla realtà naturale.

L’idea di sostenibilità invece, come tutti i concetti astratti, ha diverse declinazioni ed è stata interpretata in modi differenti dalla comparsa del termine nella prima conferenza ONU sull’ambiente del 1972. Ciò che fin da principio ha caratterizzato le diverse accezioni del termine è stato il forte intreccio tra sfera ecologica, sfera economica e sfera sociale

Per la Treccani la sostenibilità è la «condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri». La formulazione del concetto è quindi rapidamente ricaduta sotto l’etichetta di «sviluppo sostenibile», termine introdotto ufficialmente nel 1987 nel Report of the World Commission on Environment and Development: Our Common Future. Solo nella chiave di uno sviluppo che sia sostenibile si può immaginare un futuro di crescita positiva e non degradante per le generazioni a venire.

Da quando e come il design diventa sostenibile?

Forte delle nuove maturate consapevolezze sulla necessità di frenare il delirio di onnipotenza umano e iniziare a calibrare oculatamente l’impatto della sua azione sull’ambiente in cui vive, il design oggi vuole continuare a esistere, ma inserendosi più delicatamente nel contesto da dove proviene e legandosi più strettamente al ciclo di nascita e morte della materia tutta.

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Per caratterizzarsi come sostenibile il design può prendere diverse strade: dalla scelta di materiali biodegradabili, non tossici, riciclabili, ad uno sguardo più attento alla lunga vita del prodotto o alla bontà del processo produttivo, dall’impatto sull’ambiente alla relazione con le realtà produttive locali, alla necessità di valorizzazione del lavoro artigianale. 

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Re Project. Si ringrazia © Isola Design District per la concessione all’uso dell’immagine

La storia di un design sostenibile che guarda all’impatto con l’ambiente ha radici non recentissime. Già il movimento Arts and Crafts (1859-1900) segnalava il degrado ambientale portato dalla produzione industriale, ma il libro manifesto Cradle to Cradle: Remaking the Way We make Things che postulava la necessità di rivedere la durata della vita degli oggetti creati dall’uomo uscì solo nel 2002 ad opera del chimico tedesco Michael Braungart e dell’architetto americano William McDonough

Design sostenibile nei Paesi Bassi

Il rapporto fra design e impatto ambientale è diventato sempre più fondamentale anche nell’ottica dell’Agenda ONU 2030, in particolare dell’undicesimo obiettivo: «Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, duraturi e sostenibili». Il design, dunque, deve promuovere una sostenibilità a livello ecologico, sociale, economico e culturale, concentrandosi non solo sull’uso dei materiali, ma anche rivalutando le periferie, le realtà locali, l’artigianato e l’inclusione culturale.

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Nilla. Si ringrazia © Isola Design District per la concessione all’uso dell’immagine

All’avanguardia in questo senso sono, per esempio, progetti provenienti dai Paesi Bassi, spesso strettamente legati al nostro paese. Tra i designer che fanno del riciclo di materiali il proprio punto di forza figurano Piet Hein Eek e Dirk van der Kooij. Entrambi riflettono sul rapporto fra modernità e tradizione, rifiuti e sostenibilità, e pongono l’attenzione sull’artigianato e il materiale grezzo. Se Eek utilizza il legno come per Waste Tile Cube Cabinet, serie di cubi realizzati con piastrelle di legno che possono essere usati come credenze, van der Kooij riusa gli interni di frigoriferi, vecchi cd e dvd e plastiche varie che, pressate, sbriciolate e ricomposte, diventano veri e propri oggetti di arredamento come lampade, sedie e vasi come in Molten Table, che con un processo di fusione lenta ha trasformato sedie, vasi e mobili di plastica recuperati dalla discarica in tavoli multicolori e indistruttibili, dimostrando come un materiale inconsumabile come la plastica possa dar vita a oggetti sostenibili e a misura d’uomo.

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Il rapporto Italia-Paesi Bassi all’insegna della sostenibilità

Progetti come questi che coinvolgono materiali di scarto come legno e plastica sono nati in una città periferica come Eindhoven. Periferia, design e sostenibilità sono tre elementi fondamentali per una riqualificazione consapevole degli spazi. Questi tre elementi si possono trovare anche in FormaFantasma di Andrea Trimarchi e Simone Farresin, studio di design con sede ad Amsterdam e a Milano in via Assab, nella periferia di Milano. Questo studio di design si interroga sulle forze politiche, sociali, storiche ed ecologiche che coinvolgono il design e che lo portano ad avere più consapevolezza sulla società contemporanea. È da intendersi in questo senso una delle loro mostre più celebri, Cambio, un progetto che riflette sull’evoluzione della filiera del legno e cerca di ideare un modo per salvaguardare l’ambiente, in particolare le foreste.

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Aurore Piette Studio. Si ringrazia © Isola Design District per la concessione all’uso dell’immagine

Tornare alla periferia, ma anche alla manualità e all’artigianato, che con la produzione industriale di massa e la digitalizzazione rischia spesso di passare in secondo piano. Ne è un esempio la mostra-evento Homo Faber. Crafting a more Human Future, realizzata a Venezia dalla Michelangelo Foundation e ospitata negli spazi della Fondazione Giorgio Cini. La mostra-evento, quest’anno incentrata sul Giappone e che ospiterà artigiani olandesi come Tomas Libertiny ed Esme Hofman, si pone l’obiettivo di valorizzare i mestieri dell’arte e la ricchezza di materiali come carta e legno dando loro un ruolo centrale nel design contemporaneo.

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Isola Design District: un reticolo di possibilità reali e virtuali

In questo quadro si inserisce un innovativo progetto partito in un quartiere di Milano quattro anni fa. Isola Design District è un reticolo di strade abitate da atelier, laboratori, negozi, nella suggestiva cornice di tre giganti architettonici: il Bosco Verticale, Piazza Gae Aulenti e la Unicredit Tower. Voluto dalla creative agency milanese Blank, oggi Isola rappresenta una delle principali arterie della Milano Design Week e dall’ultimo anno alcuni suoi rappresentanti sono presenti anche alla Dutch Design Week di Eindhoven. Il quartiere organizza due volte l’anno anche un evento fisico, l’Isola Design Festival

Isola è un quartiere reale ma anche un reticolo di vie virtuali, che permette di muoversi tra designer emergenti e studi di design di tutto il mondo. A seguito dell’emergenza COVID-19 si è infatti manifestata la necessità di avere uno spazio in cui poter continuare il dialogo prezioso tra talenti emergenti anche a distanza: è così nata una piattaforma su cui oggi è possibile condividere notizie sulle ultime tendenze, ospitare esibizioni in realtà virtuale, organizzare eventi online.

Reolivar. Si ringrazia © Isola Design District per la concessione all’uso dell’immagine

Tra le direttrici principali che guidano l’operato dei design gravitanti intorno a Isola troviamo tematiche di stretta attualità: innovazione, sostenibilità e biomateriali, sperimentazione di tecniche artigianali e nuove tecnologie. Questi anche i temi chiave dell’edizione degli Isola Design Awards di quest’anno, il contest digitale che calamita progetti di architettura e interior design tra i più innovativi a livello mondiale.  

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Cos’è il design oggi?

Come definire, dunque, il design contemporaneo? Attraverso tre parole: sostenibilità, artigianato e periferia. In virtù dell’Agenda 2030 dell’ONU, progetti come Isola Design District, Homo Faber e FormaFantasma, che spesso mettono al centro il rapporto fra culture diverse, in particolare il legame fra Italia e Paesi Bassi, ci dimostrano come il design oggi non solo deve confrontarsi con una sostenibilità ambientale, ovvero mettere al centro il riciclo di materiali di scarto come il legno o la plastica, ma anche una sostenibilità di tipo artistico e sociale.

Il design oggi deve ridare un ruolo centrale all’artigianato, ma allo stesso tempo deve cercare di riconsiderare gli spazi, dando più centralità alla periferia, luogo dalle potenzialità inespresse che permette un modello inclusivo e sostenibile di uso degli spazi urbani. 

Questo articolo fa parte di Lente Olandese, la rubrica di Frammenti Rivista realizzata in collaborazione con l’Ambasciata e il Consolato Generale dei Paesi Bassi in Italia

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Immagine in evidenza: Clint Project. Si ringrazia © Isola Design District per la concessione all’uso dell’immagine

Alberto Paolo Palumbo

Laurea magistrale in Lingue e Letterature Europee ed Extraeuropee all'Università degli Studi di Milano con tesi in letteratura tedesca.
Sente suo quello che lo scrittore Premio Campiello Carmine Abate definisce "vivere per addizione". Nato nella provincia di Milano, figlio di genitori meridionali e amante delle lingue e delle letterature straniere: tutto questo lo rende una persona che vive più mondi e più culture, e che vuole conoscere e indagare sempre più. In poche parole: una persona ricca di sguardi e prospettive.
Crede fortemente nel fatto che la letteratura debba non solo costruire ponti per raggiungere e unire le persone, permettendo di acquisire nuovi sguardi sulla realtà, ma anche aiutare ad avere consapevolezza della propria persona e della realtà che la circonda.

Francesca Leali

Nata a Brescia nel 1993. Laureata in lettere moderne indirizzo arti all'Università di Bergamo, dopo un anno trascorso in Erasmus a Parigi. Appassionata di fotografia, cinema, teatro e arte contemporanea.

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