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Bring the Change, l’importanza sociale ed educativa del documentario

Far conoscere il linguaggio e le tecniche narrative del cinema documentario agli studenti: questo è lo scopo del progetto «Bring the Change». Ma in che cosa consiste, di preciso, questa iniziativa?

4 minuti di lettura

È partito lo scorso 21 febbraio Bring the Change, progetto educativo dedicato a studenti e studentesse delle scuole superiori che propone un percorso finalizzato alla conoscenza del linguaggio e delle tecniche narrative del cinema documentario.

L’iniziativa nasce dalla collaborazione tra Biografilm Festival, Terra di Tutti Film Festival e la Biblioteca multimediale Fuori Catalogo dell’Istituto d’Istruzione Superiore Aldini Valeriani, ed è stata finanziata anche dall’Ambasciata e Consolato Generale dei Paesi Bassi In Italia.

Il progetto Bring the Change

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Logo Bring the Change 2022

Promosso dall’associazione Fanatic About Festivals, il Biografilm Festival è un evento cinematografico che propone film incentrati sul mondo contemporaneo. Dal 2012, Biografilm sviluppa progetti educativi di inclusione sociale, rivolti in particolare a giovani e migranti. Nel 2021, in collaborazione con diverse realtà locali, ha dato il via a iniziative pluriennali dedicate agli adolescenti: ne è un esempio Tutta un’altra storia, dedicata ai detenuti nell’Istituto Penale Minorile Pietro Siciliani di Bologna e sempre supportata anche dall’Ambasciata dei Paesi Bassi.

Il progetto di quest’anno è Bring the Change, che coinvolge in presenza tre classi di quarta superiore dell’Istituto Aldini Valeriani di Bologna. Durante i 7 incontri previsti verranno proiettati 6 film documentari di tematica sociale e avranno luogo altrettanti laboratori, col fine di stimolare tra gli studenti non solo il dibattito e il pensiero critico, ma anche riflessioni sugli strumenti del cinema documentario.

Il tutto culminerà il 14 marzo con una masterclass tenuta dai registi olandesi Joris Postema, Eefje Blankevoort ed Els van Driel sul videomaking partecipativo, una pratica di produzione audiovisiva condivisa, riconosciuta dall’UNESCO, che offre strumenti di espressione ai gruppi esclusi dai mezzi di comunicazione di massa. L’incontro sarà registrato e reso visibile gratuitamente sui siti del Biografilm Festival e del Terra di Tutti Film Festival; verrà inoltre realizzato un catalogo digitale del progetto, scaricabile gratuitamente dal sito di Biografilm per poter essere utilizzato da altre scuole superiori.

La necessità di iniziative come Bring the Change

Un momento della presentazione agli studenti del progetto

Si potrebbe dire che i primi vagiti del cinema documentario siano coincisi con la nascita del cinema stesso. Basti pensare alle opere dei fratelli Lumière, che mostravano luoghi lontani e affascinanti. Eppure, il termine “documentario” è stato utilizzato per la prima volta solo nel 1926 in relazione a Moana di Robert Flaherty, già regista nel 1922 di Nanook of the North, considerato il vero capostipite del genere. Questo accadeva per una ragione ben precisa: Flaherty aveva compreso che, come nel cinema di finzione, anche in quello documentario è necessaria un’organizzazione narrativa. Nanook non è un semplice scorcio esotico, bensì la rappresentazione della lotta continua dell’uomo per la sopravvivenza. L’eschimese protagonista è diventato un vero e proprio simbolo e ha conquistato le platee.

Ci si è allora resi conto che i documentari potevano non solo riprendere determinate realtà, ma anche comunicare qualcosa, suscitare emozioni e riflessioni. Non sorprende che i governi abbiano fatto grande uso di questo mezzo con fini propagandistici – si veda il sodalizio tra Hitler e Leni Riefenstahl. Ma il documentario poteva raccontare anche la lotta di classe, le comunità marginalizzate, l’oppressione. Negli anni Settanta era il popolo stesso a tenere in mano la cinepresa per raccontarsi. Questo genere, insomma, è passato dall’essere perlopiù etnografico e super partes a un qualcosa di molto più sfaccettato.

Proprio per la possibilità offerta potenzialmente a chiunque di raccontarsi, il documentario sociale ha acquisito sempre maggiore popolarità. Oggi esistono realtà come Biografilm e il Terra di Tutti Film Festival, che propongono ogni anno una selezione accurata di lavori del genere da tutto il mondo e realizzano progetti come Bring the Change, estremamente necessari perché in linea con l’obiettivo dei documentari sociali: smuovere le coscienze e permettere lo sviluppo di una visione critica della realtà, attraverso l’informazione e la sensibilizzazione.

I film olandesi in programma: Shadow Game e Stop Filming Us!

Un’immagine dal film Shadow Game (2021), diretto da Eefje Blankevoort ed Els van Driel

Dei sei film in programma, due sono olandesi. Il primo, Shadow Game, è stato presentato al Terra di Tutti Film Festival 2021 ed è un esempio eclatante di cinepresa (cellulari, in questo caso) in mano al popolo. La pellicola è composta infatti da un insieme di riprese dei registi e dei ragazzi immigrati, che filmano la brutalità della polizia e i loro pericolosi viaggi in cerca di una vita migliore. E sempre Shadow Game mostra la possibilità di un’azione concreta a partire dal documentario, in quanto legato a una petizione (firmabile sul sito del film) che verrà presentata al Parlamento Europeo, alla Commissione e agli Stati Membri il prossimo giugno.

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Stop Filming Us!, invece, pone al centro della narrazione il problema dello sguardo colonialista nei confronti delle popolazioni non occidentali (il cosiddetto white savior complex). Sempre citando la storia del documentario: quando Jean Rouch presentò, negli anni Cinquanta, il suo Les maîtres fous, in cui erano filmati rituali di possessione girati in Africa, fu aspramente criticato dalla comunità nera, che definì il film pregno di un approccio colonialista. Il regista ha dato retta alle critiche, migliorando nei documentari successivi, ma l’evento iniziale dimostra che anche le migliori intenzioni di un occidentale possono dare come risultato un’opera problematica.

Un’immagine dal film Stop Filming Us! (2020), diretto da Joris Postema

Stop Filming Us! segue tre giovani artisti che vogliono rappresentare la Repubblica Democratica del Congo al di fuori della solita percezione stereotipata, non senza difficoltà. Tra questi c’è la giornalista Ley Uwera, combattuta tra il lavorare dietro compenso per una ONG occidentale (favorendo quindi un punto di vista bianco) e il fare la freelance così da descrivere in maniera giusta la realtà che ha davanti.

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È evidente, dalla descrizione dei due film, come visioni del genere siano fondamentali per i giovani, perché li aiutano a comprendere le dinamiche sociali e a solidalizzare con le persone e i gruppi di cui la politica non parla (o lo fa in maniera fuorviante), che nessuno aiuta, le cui voci sono zittite. E per questo, viva progetti come Bring the Change.

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In copertina: Gli studenti delle classi 4AGC e 4CGC dell’Istituto di Istruzione Superiore Aldini Valeriani al termine del primo incontro con il regista Pierfrancesco Li Donni.

Christian Montedoro

Classe 1999, pugliese fuorisede a Bologna per studiare al DAMS. Cose che amo: l’estetica neon di Refn, la discografia di Britney Spears e i dipinti di Munch. Cose che odio: il fatto che ci siano ancora persone nel mondo che non hanno visto Mean Girls.

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