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tram che si chiama desiderio teatro franco parenti

Riconoscersi con Tennessee Williams al Franco Parenti

Al Teatro Franco Parenti di Milano, fino al 27 febbraio, in scena «Un tram che si chiama Desiderio», il capolavoro di Tennessee Williams

2 minuti di lettura

Empatia per sé stessi

In un oggi che grida muti inni all’autonomia, all’indipendenza dell’individuo, che si erge (super) eroico sopra la precaria e dunque spaventosa prevedibilità del domani, la conseguente difficoltà dell’empatia non risiede tanto in una mancanza di riguardo nei confronti dell’altro, relegato a sua volta alla propria intoccabile e sacrosanta autocrazia, quanto verso sé stessi.

Per poter immaginare qualcosa, che sia lo stato d’animo, le opinioni, i desideri, di altri, è indispensabile in primo luogo prendere atto delle proprie emozioni, volontà e pensieri.

L’immaginazione non induce un libero sfogo della fantasia, quanto piuttosto la possibilità di creare un’alternativa, tale in quanto differente.

Differire per conoscersi

Ogni differenza presuppone la conoscenza di ciò da cui tale differenza appunto differisce. Il gioco del rispecchiamento non annulla le diversità per produrre un doppio amorfo, bensì demarca i caratteri, assottigliandoli per indurre una prospettiva finemente critica.

La possibilità sempre più insolita della risata genuinamente ironica scaturisce dalla capacità di prendere atto dei rimandi tra similitudine e differenza: l’opportunità di mettere in atto tale gioco sancito come fondamento dell’arte teatrale è una concessione sempre più rara, ma fortunatamente ancora esperibile.

Immaginare conoscendosi

Tanto la drammaturgia quanto la messa in scena, se coadiuvata da una regia che sappia mettere a fuoco il cuore di un testo teatrale, pulsante di desideri e conflitti che animano i personaggi concede il lusso di un rispecchiamento che non appiattisce lo spettatore spaparanzato sulla propria poltrona, in un molle divertissement fine allo svago serale, bensì lo pungola e lo porta a interrogarsi sulle motivazioni per cui si sente chiamato in causa.

Così al Teatro Franco Parenti di Milano un capolavoro di Tennessee Williams come Un tram che si chiama Desiderio, in scena dal 16 al 27 febbraio, fa rimbombare il racconto intimo e toccante di un Sud degli Stati Uniti intriso di rimpianti e mesta fierezza sino ai giorni nostri.

Con l’adattamento e la regia di Pier Luigi Pizzi il dramma della decadenza di una classe sociale in disfacimento, incapace di accettare il proprio tramonto – un richiamo indiscusso al Čechov delle Tre sorelle e del Giardino dei ciliegi – assume una coloritura contemporanea senza perdere i toni intrinseci del testo di Williams.

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Nostalgia universale

Tanto l’autore quanto i personaggi e il pubblico fanno i conti con un atteggiamento nostalgico verso un passato ormai andato in frantumi. La distanza culturale, e più profondamente antropologica tra i protagonisti, Stanley, la cognata Blanche e la moglie Stella si misura come scontro vitale, a tratti animalesco.

La magistrale interpretazione attoriale in Un tram che si chiama desiderio al Franco Parenti di Mariangela D’Abbraccio e Daniele Pecci con Giorgia Salari, Eros Pascale, Erika Puddu, Giorgio Sales, Diego Migeni riesce a rendere attuale il dramma personale dei personaggi, facendo emergere come la sessualità posta al centro della vita dei personaggi stessi sia una componente imprescindibile nella vita degli spettatori.

La forma teatrale adottata da Williams, che scelse una scrittura fondamentalmente realistica, lascia spazio a un simbolismo che rivela l’inesauribilità dei personaggi: da questo abisso indicibile deriva il rimando imprescindibile al lettore e allo spettatore della messa in scena.

Riconoscersi con ironia

Il realismo della vicenda diventa attuale perché i personaggi non si descrivono definendosi nelle azioni, ma con le parole e i silenzi sanno dare respiro a una vicenda universale.

La risata amara e ironica rispetto alla fragilità di un personaggio come Blanche è la meritata conseguenza di un’acuta denuncia alle illusioni e alle pretese di grandezza che consente perciò una tenera e accorata compassione umana.

Per potersi riconoscere nell’altro è indispensabile conoscersi, altrimenti si corre il rischio di perdersi nei contorni indefiniti dell’altro, nel limbo della reciproca deformazione senza averne consapevolezza.  

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Anastasia Ciocca

Instancabile sognatrice dal 1995, dopo il soggiorno universitario triennale nella Capitale, termina gli studi filosofici a Milano, dove vive la passione per il teatro, sperimentandone le infinite possibilità: spettatrice per diletto, critica all’occasione, autrice come aspirazione presente e futura.

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