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L’inganno del tempo: «50 minuti di ritardo» al Franco Parenti

3 minuti di lettura

Quando si hanno dei dubbi sul senso e sulla direzione delle azioni, si può facilmente trovare stabilità ancorandole ai corrispettivi verbi e soffermandosi placidamente sulla costruzione con cui si sorreggono le frasi da loro originate. Se si dicono in un certo modo, le cose in fondo stanno così. Un verbo transitivo o intransitivo suggerisce un preciso movimento e, richiamarsi a questa chiara distinzione, può aiutare a comprendere il significato di determinati complementi, oggetto e non, che costituiscono la frase e danno pienezza alla vita. Per abitudine si è portati a intendere il tempo come una condizione che fa da sfondo alle azioni e ci si dimentica, forse, che questo possa anche essere vissuto direttamente. Si può, quindi, ripensare al modo in cui vivere il tempo? Questo è l’interrogativo spiazzante, e forse imbarazzante, che la compagnia Malmadur lascia agli spettatori dopo un dialogo con il pubblico nello spettacolo 50 minuti di ritardo, in scena al Teatro Franco Parenti dal 23 al 27 giugno.

scena 1 di «50 minuti di ritardo»
Fonte: Teatro Franco Parenti

Il tempo come oggetto in «50 minuti di ritardo»

La domanda, che rivela le aspettative di chi ha pensato e realizzato la messa in scena, sottintende la possibilità per cui il tempo possa essere vissuto, consumato, come un oggetto. Se si può dire “vivere il tempo”, allora il tempo può essere complemento oggetto.

Altre azioni, altri verbi suggeriscono questa possibilità logica: aspettare e attendere sono intrinsecamente legati al tempo, rivelando una relazione immediata per cui il tempo non fa da sfondo, da ornamento, ma è direttamente implicato perché l’azione è rivolta proprio a lui.

Gli amministratori del tempo – così si autodefiniscono gli autori e attori di 50 minuti di ritardo Elena Ajani, David Angeli, Alessia Cacco, Jacopo Giacomoni, Davide Pachera, Marco Tonino – partono dal presupposto per cui se il tempo si può vivere direttamente, è possibile viverlo anche in un altro modo.

La finzione del tempo

Un fatto realmente accaduto alla regista Alessia Cacco diventa lo spunto narratologico che dà avvio allo spettacolo. Lo spazio scenico esplode e in un attimo il gioco della finzione teatrale si trasforma in un inganno. Le regole del teatro si frantumano sotto gli occhi di un pubblico completamente spiazzato, senza un appoggio per poter comprendere cosa stia accadendo.

L’episodio autobiografico, di un’attesa trascorsa aspettando il decollo di un areo rallentato per la presenza di due profughi a bordo, sfuma lentamente sino a perdersi tra il timer e lo schermo su cui vengono proiettati i messaggi scritti in diretta da chi ha deciso di amministrare il tempo da trascorrere in sala. Lo spettatore diventa parte di un gruppo di WhatsApp e può leggere i messaggi inviati in diretta e visibili sullo schermo, come se l’attesa diventasse lo specchio entro cui poter osservare l’azione del vivere il tempo.

scena 2 «50 minuti di ritardo»
Fonte: Teatro Franco Parenti

Più che riflettere con consapevolezza, lo spazio virtuale crea una realtà “altra” in cui il tempo diventa un vuoto da riempire e si trasforma in qualcosa di diverso: gif, foto, domande di chi tenta di capire quali siano le regole del gioco a cui forse si sta partecipando. Il vortice dei social non consente di vedere il tempo che viene vissuto, ma lo costringe invece in cifre rosse che cambiano ogni secondo seguendo lo scorrere del timer. Con il passare del tempo, così costruito e costretto, viene meno la possibilità di viverlo, la consapevolezza di ciò che si sta facendo. Come se il tempo, con il suo fluire, ribadisse l’impossibilità di diventare un oggetto afferrabile, nonostante rimanga apparentemente rinchiuso nel rettangolo nero digitale del timer.

Ingannati dal tempo

Davanti alla possibilità di ingannare il tempo, costruendo un dispositivo per ripensare al modo in cui viverlo, il tempo inganna chi pretende di amministrarlo, di maneggiarlo, azzerandolo, interrompendolo per poi farlo ripartire al ritmo della musica o delle notifiche di WhatsApp.

L’inganno del tempo non viene agito dagli spettatori partecipanti, bensì subìto, rivelando forse la vacuità di una macchinazione contro il tempo, impossibile perché esso non è oggetto: nonostante si possa dire come tale, non lo può diventare. In fondo, se si dice in un certo modo, forse, le cose non stanno esattamente così. Il tempo resta fuori da qualsiasi meccanismo e se alcuni verbi sono transitivi rispetto al tempo, transitano senza però potersi fermare su di lui, senza mai coglierlo, piuttosto si fanno accompagnare, procedendo a braccetto.

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Le azioni fisiche, o mentali che siano, hanno bisogno del tempo, di accordarsi a un giusto ritmo che renda loro giustizia. Serve loro, quindi, il giusto tempo, ma il tempo non diventa mai oggetto, servo delle azioni: se si mostra, quando è possibile accorgersene, si rivela come consapevolezza, come presa di coscienza del suo inesorabile trascorrere e della volontà di ricercare il tempo migliore per ciò che si fa, si pensa, si vive.

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Anastasia Ciocca

Instancabile sognatrice dal 1995, dopo il soggiorno universitario triennale nella Capitale, termina gli studi filosofici a Milano, dove vive la passione per il teatro, sperimentandone le infinite possibilità: spettatrice per diletto, critica all’occasione, autrice come aspirazione presente e futura.

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