45 anni di Andrew Haigh mette in scena un dialogo tra due archi temporali: i 45 anni del titolo – ovvero gli altrettanti anni di matrimonio dell’anziana coppia protagonista – e i sei giorni, da lunedì a sabato, nei quali si consuma la vicenda.
La pellicola si apre su una lettera che Geoff (Tom Courtenay) riceve un lunedì mattina. La moglie Kate (Charlotte Rampling), al rientro dalla consueta passeggiata solitaria, sorprende il marito in evidente stato confusionale. Geoff ha appreso dalle autorità svizzere che il ritiro dei ghiacciai ha riportato alla luce il corpo di una donna. Si tratta di Katya (inquietante la somiglianza Kate-Katya) sua ex fidanzata, caduta in un crepaccio nel 1962 e mai più ritrovata.
Un fatto del passato, per altro già conosciuto dalla moglie e, con ogni probabilità, già rielaborato emotivamente, riemerge con violenza andando a sgretolare, pezzo dopo pezzo, l’equilibrio della coppia. I sei giorni successivi – la settimana che avrebbe dovuto accompagnare Geoff e Kate alla festa per i 45 anni di matrimonio – costituiranno la messa in discussione di tutta una vita insieme.
Kate, già dal primo confronto con il marito in cucina, è preda di una “gelosia retroattiva“. Ma è quasi una formalità femminile, un breve scossone all’encefalogramma piatto di una vita da pensionati sereni. Eppure Geoff, stringendo la lettera a due mani, non può trattenersi: «Hanno trovato Katya, la MIA Katya». Ed è proprio l’aggettivo possessivo ad introdurre la presenza di un altrove affettivo profondo, una realtà che per l’ingenua e tranquilla Kate era, fino a quel momento, completamente sconosciuta. Dai ghiacci svizzeri non riemerge solo il corpo di una donna conservato quasi per magia – ma forse è solo diceria – completamente cristallizzato a quei perduti ventisette anni, quanto piuttosto una parte dell’esistenza di Geoff (un donna, una relazione) e un lato inaspettato della sua personalità (l’ardore) che per Kate risultano stranieri e dunque fortemente destabilizzanti. La “gelosia retroattiva” lascia così spazio a un sentimento più complesso e nocivo: il disvelamento dell’estraneità e l’«ingigantirsi dei dubbi giorno per giorno» (Paolo Mereghetti).
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Con il passare del tempo l’apparente vita tranquilla dei coniugi si disintegra. Ad accelerare il processo vi è l’atteggiamento ambivalente di Geoff che, se da un lato vorrebbe raggiungere la Svizzera incurante delle sue precarie condizioni di salute (s’informa di nascosto presso un’agenzia viaggi) dall’altro cerca goffamente di minimizzare il proprio sconvolgimento emotivo tentando persino un maldestro rapporto sessuale “riparatore” dai risultati imbarazzanti. I giorni passano, la casa è sempre più solitaria (Geoff ha preso l’abitudine di starsene ancor più per i fatti suoi: prende la corriera per andare in città, passeggia in silenzio nel giardino, passa ore in biblioteca) e Kate si ritrova sola, dubbiosa ed incerta ad organizzare la tanto attesa festa d’anniversario. I sospetti verso il marito crescono e la donna, vittima di fantasmi passati e presenti, vorrebbe sapere, conoscere dettagli del passato di lui. Sembra quasi desideri fare conoscenza con un Geoff degli inizi, un ragazzo così diverso da quel musone ricurvo e silente che s’aggira per casa in pantofole. I richiami della festa – gli squilli del telefono per organizzare la colonna sonora della serata, la sala ristorante da addobbare e i numerosi inviti da spedire – si insinuano nell’inchiesta segreta che Kate conduce a casa durante le ore di assenza del marito. Allertata da improvvise fughe notturne, la donna decide di scoprire cosa si celi nel solaio, luogo spiritato e attraversato dai venti che Geoff, di soppiatto, visita la notte credendo di non essere scoperto. Tra vecchi mobili impolverati riemergono antiche diapositive di Katya incinta. Il vuoto tra i due coniugi, il figlio mai avuto – mai voluto? – è dunque frutto di un trauma passato? Di una morte prematura, di una giovinezza attraversata dalla catastrofe che ha castrato qualsiasi desiderio di paternità nello scontroso Geoff? Kate non sa darsi risposta ma si aggrappa, come preda di un incomprensibile desiderio masochistico, alle affermazioni di lui: «Sì, se non fosse morta ci saremmo sposati».
L’interpretazione di Charlotte Rampling e Tom Courteneay è perfettamente aderente al taglio registico della pellicola: mai un grido, uno strepito. Quanto piuttosto un alternarsi di silenzi, titubanze, non detti e incomprensioni che in superficie appaiono quasi attutiti – per non dire smorzati – e che la misurata recitazione in lingua inglese rende ancora più credibile rispetto al grossolano doppiaggio italiano. È proprio attraverso il crescendo della tensione emotiva – espresso qui, per ossimori, da una tecnica “in levare” – che l’irruenza dell’estraneità, del disamore e dello spaesamento creano fratture insanabili nel vissuto interiore dei due personaggi.
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È dunque questa stessa estraneità la vera protagonista della vicenda. Estraneità di lunghi anni di matrimonio, di cene e pranzi consumati a due, di vacanze, lavori. Estraneità che si manifesta, d’improvviso, nell’ambiguità sorda di certi silenzi meschini, nel mistero delle pochissime fotografie insieme – davvero troppo poche – e che ora appare in tutta la sua desolante realtà. Dopo 45 anni di vita comune Kate si rende conto di avere accanto un uomo che non conosce, un uomo che avrebbe voluto (e avuto) dei figli da un’altra donna e che – dettaglio più straziante – l’ha sposata come ripiego al grande amore perduto. Il fantasma di Katya scuote Geoff mostrandogli la finzione della sua vita tranquilla: nulla regge più, non sua moglie, non il rapporto posticcio con gli invecchiati colleghi di lavoro ormai irriconoscibili, distanti.
Se il sabato della festa Geoff ritorna improvvisamente attento e premuroso (con tanto di ciondolo in regalo) Kate non possiede ancora gli strumenti emotivi per sopravvivere alla neonata realtà di coppia. Se lui è facilitato dal consueto esercizio di dissimulazione riproposto da molti anni, per lei tutto ha il gusto acido di un crollo, di una rovina. Non acquista nessun regalo per il marito (dopo aver titubato a lungo su un orologio di pregio) e durante la serata è a disagio, fuori posto, con un sorriso tirato. Dopo il ballo, sulle note di Smoke gets in your eyes dei Platters, si concede l’unico gesto di stizza di tutto il film: sottrarsi alla mano di Geoff che la stringe (quasi felice) dopo la fine delle danze.
Diceva Kate al marito il giorno prima della festa: «Vorrei poterti dire tutto quello che penso, ma non ci riesco. Domani ci alzeremo, e proveremo a ricominciare». Ricominciare. Come se le parole bastassero a giustificare le azioni. Non è dato sapere se Geoff e Kate resteranno insieme fino alla morte. Se questo avverrà, tuttavia, sarà sotto l’egida di una ferita profonda, impossibile da risanare.
di Ilaria Moretti
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