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25 luglio 1943, cronaca della caduta del fascismo

6 minuti di lettura

Il 25 luglio 1943 è passato alla storia come la notte in cui Benito Mussolini perse il potere. Le carte e i libri sono molti, e ognuno ha le sue interpretazioni, ma quali sono i fatti? Cosa sapeva Mussolini? E cosa significa il 25 luglio per la Storia d’Italia?

Il 24 luglio 1943 a Roma faceva caldo. Moltissimo. La città si era svuotata e il silenzio regnava per le strade. Poi, alle cinque precise, lo scricchiolio delle macchine sui sanpietrini invase Piazza Venezia. Uno dopo l’altro, dalle macchine scesero i ventotto membri del gran consiglio. Erano vestiti, per ordine di Carlo Scorza, in sahariana nera e sudavano tutti moltissimo, un po’ per la tensione un po’ per il caldo. Salirono la scalinata e giunsero tutti sulla scena del crimine, la sala del Pappagallo a Palazzo Venezia, disponendosi attorno al grande tavolo a ferro di cavallo. Non si riunivano dal 1939 ed era la prima volta che non lo facevano solo per ascoltare e approvare qualunque cosa dicesse Mussolini. L’orologio segnava le ore 17:15, ma questa storia era iniziata molto prima.

Una seduta del Gran Consiglio. Fonte: Wikipedia

La situazione dell’Italia prima del 25 luglio 1943

L’Italia era ormai in guerra da tre anni ed era abbastanza evidente anche ai più fanatici che le cose non stessero andando nel migliore dei modi. Il 9 luglio gli americani erano sbarcati in Sicilia, in Russia si indietreggiava e l’Africa era perduta. Ogni giorno i rapporti dell’OVRA riferivano di migliaia di operai che, a Torino e Milano, scioperavano per le condizioni di lavoro e il razionamento dei viveri e, come se non bastasse, il 19 luglio 1943 gli alleati avevano bombardato Roma. L’auto del re, in visita tra le macerie, venne addirittura presa a sassate al grido di «Non vogliamo le vostre elemosine, vogliamo la pace». Proprio quel giorno Mussolini, sofferente per dolori di stomaco, era a Feltre a incontrare Adolf Hitler. In teoria, avrebbe dovuto chiedergli di fermare la campagna di Russia e di aiutare l’esercito italiano, in pratica non ebbe modo di aprire bocca e si ritrovò sommerso dai monologhi di Hitler. Alle 18, Mussolini prese i comandi del suo aereo e volò verso Roma. Vide da sé i danni del bombardamento.

papa a s. Lorenzo dopo i bombardamenti. Verso il 25 luglio 1943
Il Papa a S.Lorenzo dopo il bombardamento. Fonte: Wikipedia

Le trame di Grandi

Nel frattempo i gerarchi, ricchi come non mai dopo anni di ruberie, sentivano la puzza di morte che veniva da Mussolini e dal fascismo e si attivavano per salvare il salvabile. Il più attivo in questo senso è Dino Grandi, da sempre uomo scomodo del fascismo. Interventista, poi fascista della prima ora, non fu mai mussoliniano e propose addirittura di porre Gabriele D’Annunzio al posto di Mussolini. Per questo venne spedito, come Italo Balbo, lontano dall’Italia, a fare sette anni di ambasciata a Londra. Da Londra tornò ancora più scomodo di prima nel 1939 e, dal momento che era pacifista, Mussolini lo spedì al fronte in Grecia. Grandi ebbe modo e tempo di meditare la sua vendetta. Già nel giugno 1943 aveva architettato, d’accordo col re che gli aveva addirittura conferito il collare dell’Annunziata, un piano per rovesciare Mussolini e rimettere tutto nelle mani del sovrano, a sua volta già d’accordo con Pietro Badoglio per nominarlo capo del governo. Una volta confermata la riunione del Gran Consiglio e preparata la bozza dell’ordine del giorno assieme a Giuseppe Bottai e Galeazzo Ciano, il 22 luglio Grandi andò da Mussolini e gli spiegò chiaramente quale fosse la sua intenzione (intenzione che conosceva: quella mattina Scorza gli aveva fatto leggere l’ordine del giorno in cui si chiedeva il trasferimento del comando delle forze armate al re). Mussolini fece orecchie da mercante e Grandi passò gli altri due giorni a raccogliere consensi tra i gerarchi.

Dino Grandi (a sinistra) con il segretario di stato del Regno Unito e visconte John Simon. 25 luglio 1943
Dino Grandi (a sinistra) con il segretario di stato del Regno Unito e visconte John Simon. Fonte: Wikipedia

La seduta

Con 12 adesioni sicure e due bombe a mano in tasca, Grandi si sedette al tavolo della sala del pappagallo. Il primo intervento, sullo svolgimento della guerra, fu quello di Mussolini, poi il vecchio e confuso Emilio De Bono, poi l’insipido Cesare Maria De Vecchi. Si giunge al cuore solo con i tre interventi chiave: Bottai prima, Grandi poi e infine Ciano. Il primo criticò Mussolini sul piano politico, Grandi lesse l’ordine del giorno e Ciano, che si passava nervosamente la mano lungo i capelli lucidi di brillantina, spiegò come i tedeschi non erano stati fedeli agli italiani (e quindi da un lato come Mussolini si fosse fatto prendere per il naso da Hitler e dall’altro come l’Italia avrebbe potuto staccarsi dalla Germania e uscire dal conflitto). Proprio durante le parole di Ciano, Mussolini si mangiò imprecazioni, rimpianti e forse anche tutti i soldi e favori che gli aveva concesso in quegli anni, figlia compresa. Intervallo, interventi secondari e poi la risposta di Mussolini. Dapprima ammise, come da accusa di Grandi, che il fascismo non era più quello delle origini, ma svuotò finalmente il sacco sui gerarchi, dicendo che se il fascismo non era più tanto popolare era anche colpa di chi col fascismo ci si era fatto la villa sull’Appia Antica. Alle 2 di notte si votò: 19 favorevoli (7 in più del previsto), 7 contrari e 1 astenuto.

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Molti dei votanti non capivano cosa avrebbe significato quell’ordine del giorno, altri pensavano che si sarebbe limitato soltanto al trasferimento dei poteri militari, altri ancora (Ciano, Bottai e Grandi) sapevano benissimo che non sarebbe potuta finire lì. Nella testa del re, invece, era tutto chiaro: il voto sarebbe stato l’input di un colpo di stato militare che avrebbe del tutto deposto Mussolini.

Milano, 25 luglio 1943: manifestazioni in piazza Duomo dopo le dimissioni e l’arresto di Benito Mussolini, che provocarono il crollo del regime fascista (Archivio fotografico Preussischer Kulturbesitz, Berlino)
Festeggiamenti a Milano dopo il 25 Luglio 1943. Fonte: Archivio fotografico Preussischer Kulturbesitz, Berlino

Dopo la seduta

Il seguito è noto: la mattina dopo Mussolini si comportò normalmente e poi, a 24 ore esatte dall’inizio della seduta, si recò dal re, nonostante gli inviti della moglie Rachele Guidi, che, come Calpurnia con Cesare, lo implorava di non andare. Mussolini ebbe un’ultima indecisione: a qualche centinaio di metri da Villa Savoia incominciò a far girare l’auto attorno ad un’aiuola per tre minuti, insicuro sulla direzione da prendere. Poi entrò nel cortile del Palazzo. Il re lo fece arrestare dopo un breve discorso (Mussolini non immaginava certo l’arresto, ma lo accettò con docilità). Un’ambulanza lo portò al commissariato e il giorno dopo iniziò il suo esilio: Ponza, La Maddalena, Gran Sasso. Esultanze in tutta Italia alla notizia. Verrà liberato il 12 settembre, dopo aver tentato di tagliarsi le vene. Nel frattempo, Grandi scappò in Spagna e Bottai nella legione straniera. A Verona tutti i 19 di quella notte furono condannati a morte, seppure 14 fossero già in fuga. Tra i fucilati, De Bono, quasi ottantenne, morì implorando la mamma. Ciano, che invece era un dandy, si rovesciò addosso un’intera bottiglia di profumo prima della fucilazione. 

25 luglio 1943
Mussolini liberato al Gran Sasso. Fonte: WIkipedia

Come fu possibile il 25 luglio 1943: l’eutanasia del duce

Rimane però una domanda: se il duce sapeva (e lo sapeva da Scorza, Grandi e dall’intelligence nazista) quello che sarebbe accaduto quella notte, perché non lo impedì? I mezzi, da bravo tiranno, li aveva (non convocare la seduta, sospenderla, arrestare tutti o ancor peggio fucilarli). Entrare nella testa di Mussolini non è facile, ma è possibile che il duce si fosse semplicemente reso conto della situazione, di essere sconfitto e impotente, e che abbia perciò deciso, codardamente, di lasciare che il fascismo, già malato terminale da tempo, morisse definitivamente. Non fu insomma una pugnalata alle spalle, ma fu Mussolini stesso a staccare la spina al suo regime politicamente morto. Un’ipotesi non difficile da fare se si esamina la depressione che lo accompagna negli ultimi mesi del regime: nel novembre e dicembre 1942 rifiutò non solo di parlare alla folla, cosa che non fece per 18 mesi, non solo di incontrare Hitler per ben due volte, ma mise alla porta, nelle settimane immediatamente precedenti al 25 luglio, addirittura Claretta Petacci, cosa questa davvero inconcepibile. Sofferente per lo stomaco, costretto a nutrirsi di soli riso e latte, si lascia attraversare dagli eventi: gli arrivano notizie di complotti, colpi di stato, ma decide di non fare nulla. Ciano annota, il 5 novembre 1942, «È pallido. I tratti del volto tirati, stanco». E durante la RSI le cose peggioreranno.

L'EUROPA 75 ANNI FA/ L'annuncio dell'Armistizio: la guerra è finita? | Aris  Notiziari
Il re e Badoglio. Fonte: arisnotiziari.it

25 luglio 1943 e Piazzale Loreto

Il 25 luglio fu quindi, essenzialmente, il momento in cui la crisi del regime giunse alle sue naturali conclusioni. Il fascismo non era più quello delle origini, i ras provinciali erano stati epurati e il duce era sempre meno popolare sul territorio locale. Il fascismo aveva insomma perso la sua matrice sociale e politica e si era trasformato in tirannico esercizio di un potere assoluto, con una classe dirigente allo sbando che arraffava quattrini a destra e a manca sotto la supervisione impotente di un duce vecchio, stanco e malato. Era finito il tempo di Giovinezza e della marcia su Roma. La guerra certo giocò il suo peso, ma, come già diceva Carl Von Clausewitz, la guerra è la continuazione della politica, e quella guerra condotta in quella maniera altro non era che la concretizzazione di quella politica fallimentare in quanto inconsistente da quando, al fascismo delle origini, non si era più sostituito nulla se non quinte sceniche.

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Piazzale Loreto, al contrario, fu una resa dei conti intima tra il capo e la sua folla, una chiusura dell’inconscio collettivo con il fascismo. Fu certo odio cieco, barbaro e truce, ma altro non era che la continuazione, o termine, dell’amore. Un odio quindi come altra faccia dell’amore passionale e intenso con cui il popolo aveva avvolto il faccione di Mussolini. Una questione privata tra gli italiani e Benito Mussolini, in cui il fascismo c’entrava poco o nulla.

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Fonti

Galeazzo Ciano, Diario 1939-1943, Rizzoli, 1946
Paolo Palma, Il telefonista che spiava il Quirinale, Rubbettino, 2006
Giordano Bruno Guerri, Fascisti, Mondadori, 1995
Renzo De Felice, Mussolini l’alleato, Einaudi, 2020
Emilio Gentile, 25 Luglio 1943, Laterza, 2018

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