Il cinema meraviglia, distrae, istruisce e legittima, storie e stati d’essere. Quello che passa sul grande schermo si insinua e poi si accomoda nell’immaginario comune, inconsciamente viene accettato, o comunque abitua lo spirito a ritornanti discorsi. Lesbiche, gay, bisessuali e transgender, LGBT a cui recentemente si sono aggiunti queer, intersessuali e asessuali, non sono stati facilmente accolti come protagonisti sui terreni cinematografici. Oggi c’è un rovesciamento, e anche i diversi si riprendono le loro storie d’amore. Il 2018 sarà un anno fertile, che racconterà storie strane, con il risultato, si spera, di spostare di un poco il confine della normalità.
Cavalcano l’onda del successo profondo di Chiamami col tuo nome, un film onesto, intimamente sincero. Raccontano amori difficili da dichiarare alla luce del sole e soprattutto, rispetto a qualche trascorso cinematografico come Boys don’t cry e My own private Idaho, come J’ai tué ma mère o la stessa Vie d’Adèle, aprono forse, alcuni, una prospettiva più felice.
The miseducation of Cameron Post – Desiree Akhavan
I genitori di Cameron Post muoiono il giorno che lei bacia la sua migliore amica. Trovata cinematografica per denunciare l’indecenza religiosa di tali comportamenti? Dodici anni a Miles City, nel Montana. Dai baci rubati a quelli consumati sul sedile di un’auto alle superiori, fino a che la zia ultraconservatrice che la ospitava la rinchiude in un centro di conversione per la cura della sua omosessualità. La disciplina è ferrea e gli atteggiamenti sfiorano il ridicolo, ma all’interno dello spazio chiuso sboccia una gay gang, frizzante e trasgressiva. Ambientato negli anni novanta, dimostra quanto i cambiamenti di costume si muovono molto più in fretta di quelli per i diritti civili.
Postcards from London – Steve McLeane
Prima di Londra c’è stata l’America, in un film avanguardista del 1994. Era tratto da un libro autobiografico di David Wojnarowicz, un noto performer morto di AIDS. Era un racconto di violenza e soprusi, dall’infanzia con il padre alcolizzato, ai mezzucci criminali che lo tengono in piedi a New York, al deserto doloroso della vita adulta. Saltando al seguito, la svolta è in positivo: Jim dall’Essex passa a Londra e incontra The Racounters, uomini specializzati nell’intrattenimento post-coito. Jim ha tutti i requisiti per essere della partita ma c’è qualcosa che un escort non deve avere: la sindrome di Stendhal, che gli provoca continue allucinazioni e svenimenti. Ancora un ostacolo sulla strada dei diversi per condurre una vita con più solidi punti di riferimento.
The happy prince – Rupert Everett
Punta su un genere che tira, il biopic, e su un classico che raccoglie sempre nuovi seguaci, Oscar Wilde, il film d’esordio del regista Rupert Everett, che interpreta anche il ruolo del protagonista.
«Wilde è una sorta di Cristo per ogni persona LGBT . L’omosessualità non esisteva, in quanto dibattito, fino a quando non esplose lo scandalo Oscar Wilde. Con la morte di Oscar, nel 1900, presero il via tutti i dibattiti del ventesimo secolo: il modernismo, il femminismo, il comunismo». (Rupert Everett)
The death and life of John F. Donovan – Xavier Dolan
Una carriera distrutta da un’infame giornalista: attorno a questo ruota la nuova fatica del celebre québécois, «un film satirico ma drammatico». Collocandosi a dieci anni dalla morte della star tv, Dolan racconta di quella volta che la rivista di gossip di Moira McAllister-King rese pubblico l’infiammato scambio epistolare tra Donovan e l’attore Rupert Turner, grande fan della celebrità e allora solo undicenne.
Saturday Church – Damon Cardasis
Saturdy Church non è un’avventura religiosa come un’altra, ma un’esperienza comunitaria; ai limiti della blasfemia? Ulysses è un esploratore, un adolescente delicato e sensibile che non riesce a raddrizzarsi con la dura disciplina della zia Rose. Abita nel Bronx e viene bullizzato dai compagni, nel periodo agrodolce delle prime indagini sul proprio corpo. Quello di Saturday Church è un gruppo diverso di fedeli, che non traccia confini ma abbraccia con la sua ampiezza di vedute qualsiasi possibile territorio sessuale. Vivono e soffrono ogni giorno sul difficile percorso della crescita, i piccoli trans che diventano adulti, trans.
In tutte le storie c’è qualcosa di vero, e in questa l’impalcatura è in buona parte ricavata sulle esperienze reali vissute dal regista Damon Cardasis nella chiesa di New York St. Luke’s in the field nel quadro del programma Arts and acceptance. Uno spazio per ballare ed essere creativi, per scrollarsi di dosso le amarezze e le discriminazioni di una società che adulta, ancora non lo è diventata.
Freak show – Trudie Styler
“Obliviatore di generi” si dice di colui che rifiuta arbitrarie distinzioni di genere, che incrinano la possibilità della tolleranza. Il film era in anteprima alla Berlinale 2017 e ha chiuso l’Oufest losangelino. Lo scheletro è ancora di provenienza letteraria, e si firma James St. James. È ancora una storia di scuole conservatrici e adolescenti diversi che hanno la forza di credere di essere fantastici. Di un cuore vulnerabile ma armato di decisione, che non retrocede di fronte alle solite basse, bulle, aggressioni.
«Da qualche parte tra David Bowie, Lady Gaga, Freddy Mercury e Oscar Wilde, nello spazio trasgressivo della cultura pop, un’opera vestita da commedia d’alta scuola, con arguzia, cuore ed un cast abbagliante. E’ la violenza della conformità contro la potenza dell’autodeterminazione» (Berlinale)
My days of mercy –
Le storie grandiose spesso sono cucite su coincidenza incredibili. Lucy e Martha Morrow girano il Midwest per partecipare alle esecuzioni di morte e manifestare il loro dissenso nei confronti della pena. Così Lucy e Mercy, la figlia di un condannato a morte e la figlia di un poliziotto il cui partner è stato ucciso da un uomo prossimo alla messa in atto della pena capitale, si incontrano e si innamorano. Gli opposti si attraggono, contro ogni logica, anche e soprattutto quando questa si strugge per non lasciare spazio ai sentimenti.
Lizzie – Craig Macneill
Nel 1892 c’era poco spazio per le relazioni omosessuali, soprattutto quando vedevano protagoniste una donna di un certo rango e una domestica di famiglia, soprattutto se la storia degenerava in un thriller psicologico con la donna che uccide a colpi d’ascia il padre e la matrigna. Ma leggenda vuole che il tribunale abbia dichiarato innocente Lizzie Borden, che a Fall River, Massachusetts, passava le sue giornate forzata tra le mura domestiche, a prendersi cura dei suoi piccioni.
E l’elenco non si esaurisce ma prosegue con Quiet Heroes di Jenny Mackenzie, A Kid Like Jake di Silas Howard, Thelma di Joachim Trier e Anything di Timothy McNeil. L’anno è appena iniziato e le prospettive sono già intriganti.