«Se non vedessi la fotografia come documento, come testimonianza possente della storia e dei fatti, prevarrebbero in me altri interessi. Parlo di interessi sociali, politici, molto più importanti per me dei fatti estetici. È dall’importanza della fotografia come strumento di assoluta testimonianza che nasce il mio impegno come fotografo».
Il 13 dicembre scorso si è spento, dopo una lunga malattia, il celebre fotografo e fotoreporter Mario Dondero (Milano, 6 maggio 1928 – Petritoli, 13 dicembre 2015). Sempre rispettoso della semplicità e fedele agli scatti in bianco e nero, la sua fotografia è connotata da un forte impegno sociale che ha perseguito viaggiando in giro per il mondo, finché la sua salute l’ha reso possibile, per documentare le storie degli uomini collaborando con riviste e con associazioni, tra cui Emergency.
«La Storia è fatta dalle storie degli uomini e non credo ci sia Storia o storia che negli ultimi decenni sia sfuggita al suo obiettivo».
Cecilia Strada su Mario Dondero, 13 dicembre 2015
Dondero è nato a Milano nel 1928 e, giovanissimo, ha partecipato alla Resistenza nella Val d’Ossola. Dopo la guerra si avvicina a diverse testate importanti, per lo più di sinistra, come i quotidiani L’Unità, L’Avanti, Milano Sera o la rivista L’Ora. Diventa intanto frequentatore dello storico Bar Jamaica, ritrovo di intellettuali e artisti milanesi, dove conosce, fra gli altri, i fotografi Ugo Mulas e Uliano Lucas. Nel 1955 si trasferisce a Parigi e inizia una serie di collaborazioni con L’Espresso, L’Illustrazione Italiana e Le Monde.
Inserito negli ambienti parigini scatta la celebre fotografia agli esponenti del Nouveau Roman, corrente letteraria francese sviluppatasi tra gli anni ’50 e ’60 del Novecento che vede il rifiuto del personaggio a favore degli aspetti non soggettivi della realtà. Nell’ottobre parigino del 1959, davanti alla sede delle Editions de Minuit, sono ritratti: Nathalie Sarraute, Samuel Beckett, Alain Robbe-Grillet, Claude Mauriac, Claude Simon, Jérôme Lindon, Robert Pinget, Claude Ollier.
Dondero riesce a ritrarre l’umanità: poeti, scrittori, intellettuali e ancora politici e personaggi di spicco ma anche persone comuni, vecchi, adolescenti. La sua arte sa spaziare in qualsiasi contesto sociale riuscendo sempre a comunicare il massimo del comunicabile.
Tra i più celebri ritratti ricordiamo: Francis Bacon, Alberto Giacometti, Giorgio De Chirico, Giuseppe Ungaretti, Maria Callas, Yves Montand e Serge Gainsbourg, Orson Welles e Federico Fellini, Vittorio Gassman e Roman Polanski, Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, Primo Levi ed Edoardo Sanguineti, Pablo Neruda e Gabriel Garcia Marquez.
Maria Callas, Luchino Visconti e Leonard Bernstein ritratti alla Scala di Milano nel 1955.
Pier Paolo Pasolini e la madre.
Inizia, poi, a girare il mondo e fotografa l’Africa, il Marocco, l’Algeria, la Guinea, l’America Latina, Cuba, e l’URSS. Nei suoi scatti coniuga lo straordinario talento con una sorta di responsabilità sociale.
«Non è che a me le persone interessino per fotografarle, mi interessano perché esistono».
Una bambina e la madre osservano una guardia. Scatto appartenente a un reportage sul muro di Berlino.
«Il colore distrae. Fotografare una guerra a colori mi pare immorale».
Dondero non ritrae solo personaggi importanti, si dedica anche alle anime più umili come questo contadino.
Con Dondero se ne va non solo un grande fotografo, ma anche un grande conoscitore di volti ed anime. Con i suoi scatti rigorosamente in bianco e nero ha saputo cogliere l’essenza degli spiriti che hanno incrociato il suo cammino, dai più conosciuti ai più comuni. Le foto si caricano di quotidianità e naturalezza, il fotografo si fa interprete di vissuti reali e li traspone sulla pellicola con una maestria unica.
[jigoshop_category slug=”cartaceo” per_page=”8″ columns=”4″ pagination=”yes”]
[jigoshop_category slug=”pdf” per_page=”8″ columns=”4″ pagination=”yes”]