fbpx

Woody e la sua perfetta Blue Jasmine

/
10 minuti di lettura

Sottofondo jazz dixieland in vinile, titoli di testa bianco su nero, type Windsor nella variante EF Elongated.
È lui.

Per forza, perché se c’è una sola cosa su cui possiamo contare è che di certezze quest’uomo ne avrà anche poche, ma granitiche. È così che inizia Blue Jasmine, l’ennesimo film di Woody Allen. Avevamo dubbi? Su questo certo no. Tutt’al più qualche dubbio poteva esserci sulla ben riuscita della pellicola, dato che ormai sono tanti quelli che dicono che il buon vecchio Woody di una volta non tornerà più.

Per rompere subito il ghiaccio (e soprattutto per quello che può valere la mia opinione), io ho trovato Blue Jasmine un capolavoro. Parla di una donna dell’alta società newyorkese di Park Avenue, che si ritrova improvvisamente al verde e senza marito, così deve farsi ospitare dalla sorella cassiera del supermercato e con il pallino per uomini che somigliano più che altro ad animali.

Leggi anche:
La New York di Woody Allen tra le note di una sinfonia eterna

No, non è vero. Leggere la trama nelle due righe di presentazione non rende giustizia a questo film che è ben lungi dall’essere la commediola sotto cui sembra celarsi. Parla di molto altro, e più penso a quello che ci ho trovato dentro, più cose saltano fuori. E non riuscirò (e nemmeno potrò, per non spoilerare troppo, già avverto che qualche spoiler c’è) a parlare di tutto quello di cui vorrei parlare.

È questa la pestilenza-di-Allen: che ti fa tornare a casa cervellotico come lui. Solo lui può tenerti incollato allo schermo anche con una certa leggerezza quando in realtà davanti ai tuoi occhi sta scorrendo una storia terribile ed estenuante. Una storia che, raccontata alla Clint Eastwood (cioè banalizzata), ti avrebbe riempito il cartone di pop corn formato extra-large di lacrimoni. Eppure tu ti godi la tua tragicommedia mangiando sereno i pop corn e poi torni a casa e rifletti.

Blue Jasmine

Leggi anche:
Qual è il “vero” Woody Allen?

Ma come ho interpretato io Jasmine?
Intanto è una vergogna che fino ad adesso non sia ancora stato fatto il nome dell’interprete della Jasmine in questione, cioè Cate Blanchett. Una delle interpretazioni femminili migliori che io abbia visto. È quell’eleganza che ha nel riuscire a rendere credibile una nevrosi raffinata. Che sembra ossimorico solo a dirsi, figuriamoci a farsi. È perfetta. Mi sto ancora chiedendo in che stato mentale si possa arrivare a recitare in quel modo un attacco di panico senza arrivare a provarlo veramente.

E poi indossa perfettamente il suo ruolo, poliforme e contraddittorio. Perché al primo impatto Jasmine può risultare una superficiale arrampicatrice sociale, che non ha mai fatto niente nella vita se non farsi mantenere, godersi l’alta società e organizzare ricevimenti. Lasciando anche gli studi una volta sistemata. E che poi tornando al verde, completamente senza contante, fa delle storie ad accettare un posto da segretaria in uno studio dentistico. E, finalmente decisa a rimettersi in gioco cioè a studiare, una volta incontrato un altro uomo facoltoso molla tutto di nuovo e sembra che la sua unica attitudine sia quella di diventare la classica donna utile ad un uomo che vuole fare carriera con un suppellettile ben lucidato a braccetto.

Eppure non è affatto così. Mi sono affezionata al personaggio di Jasmine perché è così fraintesa da tutti quelli che la circondano. Dalla sorella e dagli uomini della sorella, che la vedono una donna da alta società per un fattore genetico e non per altro, perché semplicemente è venuta fuori così, che non abbia concluso niente perché se dei ricconi ti viziano la cosa più naturale da fare è assecondarli.  Ma questa donna, da ragazza ancora modesta, studiava antropologia. Voleva diventare un’antropologa. È una donna raffinata anche senza soldi o borse firmate, e non per una questione di genetica né per una questione di soldi. Una donna interessata, perfezionista, caparbia.

La sorella non la capisce perché i suoi parametri sono altri. La fraintende in continuazione perché è una persona più semplice. Lei vive in modo diverso tutto: la vita, i figli, il lavoro, l’amore. Lei è quella più superficiale.

Ma forse vive meglio. Non ha mai avuto un appartamento a Park Avenue ma forse non ha neanche mai sentito il bisogno di averlo. A lei non cambia nulla lavorare dietro il bancone di un bar o la cassa di un supermercato, purché le serva a portare a casa da mangiare. Non ha mai scelto un uomo ma si è sempre lasciata scegliere da chi è capitato. Tradisce con facilità, lascia con facilità, si rimette insieme con facilità. Tutto questo con due figli.

Blue Jasmine

Ma poi mentre lei è a scherzare su chi mangerà l’ultimo pezzo di pizza con un uomo che probabilmente non ama, senza farsi troppe domande al riguardo, la nostra Jasmine è seduta su una panchina con i capelli bagnati a parlare da sola. Chi sta meglio? Chi pensa meno? Probabilmente sì.

Così fraintesa anche dal marito, che l’ha appunto resa uno strumento da carriera, o forse l’ha adocchiata come un potenziale strumento da carriera, senza amarla per quello che era. Una studentessa di antropologia. Che però (voglio pensare nel quadro che mi sono creata di lei in testa) aveva perso la testa per lui, non per i suoi soldi o per la vita che poteva garantirle. Quantomeno, non solo. Lei lo ama, lui no. Lo adora e si fida ciecamente di lui. Tanto che, quando lui la tradisce, non succede che lei se ne accorga ma che si volti di là per non mettere a repentaglio il matrimonio. Non se ne accorge perché non riesce ad immaginarlo o ad accettarlo dall’uomo che ama. E quando lo scopre scoppia il finimondo. Fraintesa quindi anche dalla società, che alla scoperta dei tradimenti la considera la scialba mogliettina di un uomo facoltoso e affascinante.

Jasmine è fraintesa da tutti per tutta la sua vita. Una donna intelligente, che pensa, che sa provare sentimenti, di gusto, talentuosa, abile nel gestire la vita in società. E probabilmente anche riflessiva, problematica, empatica.

Che però è fraintesa da tutti. Tutti la vedono attraverso il filtro del loro stereotipo. E la rendono appunto polimorfe, ciascuno per come la vuole vedere e per come la vuole far essere. E, la cosa terribile, è che quando la vita le crolla addosso e finalmente può ricominciare, non riesce a liberarsi dei filtri. Delle etichette che la gente sconosciuta le affibbia nel momento in cui la vede e delle vecchie etichette impossibili da staccare di coloro che la conoscono da sempre. Ma no, c’è di più.  Dei filtri e dei protocolli che lei stessa si è data. E attraverso i quali tenta malamente di rimettere insieme i pezzi della sua vita. Sconfitta dagli altri e lacerata da sé per non essere riuscita ad essere se stessa, nel suo mondo incantato. E, adesso, totalmente in balìa di un esaurimento nervoso.

Sì, io ho adorato questo personaggio e questo film.

In tre parole:
Adorabile Jasmine,
impeccabile Blanchett,
geniale Woody.

di Silvia Lazzaris

Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!

Segui Frammenti Rivista anche su Facebook e Instagram, e iscriviti alla nostra newsletter!

Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

1 Comment

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.