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Pier Paolo Pasolini: la ricerca della purezza tra cinema e letteratura

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14 minuti di lettura

Si è aperta ieri, a Verona, la rassegna “Pasolini in forma di rosa”, un ciclo d’incontri sulla figura di Pier Paolo Pasolini nella letteratura, nel cinema, nella poesia e nel teatro, che vedrà impegnata la città dal 21 aprile al 10 maggio.

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Il titolo della rassegna vuole riprendere il titolo di una delle raccolte poetiche più significative di Pasolini: Poesia in forma di rosa.

Utilizzare la metafora pasoliniana della rosa potrebbe essere un modo per affrontare la sua opera sottolineandone l’unitarietà e la varietà. Nessun altro intellettuale italiano, infatti, ha avuto la sua capacità di proporre la propria riflessione sul tempo in cui viveva utilizzando forme artistiche e comunicative così diverse.

La rassegna cercherà di attraversare tutte queste forme, spiegando perché Pasolini ha deciso di utilizzare, per esprimere quel preciso pensiero e messaggio, ora la poesia, ora il cinema, ora il teatro, ed in che modo queste diverse arti possano essere correlate tra di loro e con un’unica grande personalità autoriale.

In programma ci saranno, perciò, momenti dedicati al cinema di Pasolini, ad esempio la rassegna di Mercoledì 22, che prevede un ciclo di tre film: La ricotta, Accatone, Il Vangelo secondo Matteo, la cui visione sarà commentata da esperti e critici cinematografici.
Ci sarà pure il poco conosciuto Pasolini autore teatrale, con la rappresentazione dal 6 al 9 maggio di Orgia.

“Pasolini in forma di rosa” è stato inaugurato alla libreria Feltrinelli con un seminario su Pasolini narratore tra romanzi e cinema, tenuto da Marco Antonio Bazzocchi, docente di letteratura italiana contemporanea all’Università di Bologna, affiancato da Giancarlo Beltrame, giornalista e critico cinematografico e Gianfranco de Bosio, regista, che ha collaborato con Pasolini stesso alla Fenice di Venezia, nella messa in scena di uno spettacolo tratto da Moravia.

Durante la conferenze il professor Bazzocchi ha cercato di delineare quale fosse il file rouge che collega il Pasolini poeta e narratore al Pasolini sceneggiatore e regista. Egli, partendo dal presupposto che la stele che regge la rosa di opere di Pasolini è la letteratura, afferma che Pier Paolo nasce indubbiamente come poeta. Chi nasce come poeta mantiene per tutta la vita un rapporto particolare, profondo ed esclusivo con il linguaggio della poesia. È proprio questa sensibilità nell’uso del linguaggio il primo legame tra scrittura e cinema pasoliniani.

Pasolini vive in modo drammatico la trasformazione geografica che l’Italia subisce tra gli anni ’50 e ’60 del Novecento: da gioiello d’Europa, con paesaggi immacolati, si lascia devastare dall’urbanizzazione e dall’industrializzazione, divenendo “uguale a tutti gli altri paesi occidentali”. Anche l’Italia, come ente geografico, subisce la mutazione causata dall’avvento della società dei consumi. Il problema del poeta Pasolini, davanti a tutto ciò, è quello di tentare di mantenere intatta la purezza, l’originarietà, la bellezza, in un mondo ormai scempiato. Per questo egli come uomo, e nei suoi scritti, sarà sempre caratterizzato da una sorta di bipolarismo: immensa sensibilità e delicatezza assieme a feroce violenza.

Un altro aspetto che caratterizza il Pasolini poeta è quello del dialetto. Il dialetto è un altro dei gioielli che vengono ossidati dalla trasformazione post boom economico. Improvvisamente il dialetto come lingua viene accantonato, ed al suo posto si comincia a parlare “la lingua della televisione”. Pasolini nella sua produzione poetica userà contemporaneamente due lingue: l’italiano poetico ottocentesco di ispirazione tommasea, e il dialetto, prima friulano e poi romano.

Pasolini decide di studiare il dialetto perché è la lingua del popolo ed in particolare di quegli strati sociali emarginati che più attiravano la sua attenzione.

In Friuli egli insegna in una scuola con la madre, facendo lezione ai figli dei contadini. A Roma si trova ad insegnare come supplente ai figli dei sottoproletari romani. Saranno questi i suoi “ragazzi di vita”. In queste persone, letteralmente in questi ultimi, gli ultimi scalini della società, egli ritiene di poter trovare quella purezza che tanto anelava ma, con il diffondersi del benessere, gli sfuggiva dalle pani sempre più.

Grazie alla frequentazione di questi ragazzi ed all’attenta osservazione del loro gergo, del loro modo di muoversi e relazionarsi, Pasolini viene chiamato da alcuni registi per scrivere le sceneggiature qualora queste prevedessero personaggi di quegli strati sociali che conosceva così bene. Il professor Bazzocchi a questo punto ci rivela un dettaglio: Pasolini era stato chiamato a collaborare anche alla Dolce Vita. Egli aveva scritto un finale che però a Fellini non era piaciuto e l’aveva perciò cambiato a suo piacimento.

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A questo punto la riflessione porta il professore a constatare quanto sia raro che un uomo che sia poeta si interessi al cinema al punto da diventare regista. Questo perché la scrittura implica modalità completamente diverse da quelle del cinema.

La spinta al cinema deriva, per Pasolini, dalla volontà di parlare a tutti. Se una volta, ai tempi di Manzoni, il mezzo a cui si poteva affidare il proprio pensiero per una diffusione “di massa”, era la scrittura, a metà del ‘900 non era più così. Era il cinema il nuovo mezzo di comunicazione di massa.

Il cinema di Pasolini ha due basi imprescindibili, con cui bisogna sempre fare i conti nel momento in cui si guarda, e poi si analizza, un suo film: la poesia e l’ideologia. Queste sono le fondamenta presenti in tutte le sue sceneggiature.

Pasolini porta nel cinema una grande innovazione, in qualche modo legata alla ricerca di autenticità che lo spingeva ad usare il dialetto nelle poesie. Egli, infatti, per ogni personaggio che mette in scena prende persone reali, non attori, e le fa impersonare se stesse. In Accatone, per esempio, per impersonare figure di uomini di strada, prende uomini di strada.

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Ne Il Vangelo Secondo Matteo ha il grande problema di Gesù. Chi può interpretare Cristo? L’ispirazione gli viene quando, per caso, gli si presenta in casa un fuoriuscito spagnolo. Pasolini lo guarda in viso e non ha dubbi: è il suo Cristo.
Perché egli utilizza questa tecnica? Perché ritiene che in questo modo le persone rivelino qualcosa di sé, qualcosa di autentico, davanti alla macchina da presa. La macchina da presa, in questo modo, viene paragonata alla poesia: fa emergere la purezza, ma in modo molto più violento rispetto ai modi celati della parola poetica. 

Tuttavia, non è solo questo. Pasolini sviluppa a partire dalla giovinezza una forte sensibilità artistica, influenzata da Longhi. Masaccio e Giotto diverranno i suoi riferimenti per le inquadrature, la fotografia, insomma per la creazione dell’immagine cinematografica. Le figure che appaiono sullo schermo sono scolpite ed immobili. L’idea sottesa a ciò è la seguente: nel corpo delle persone, attraverso il cinema e l’azione rivelatrice della macchina da presa, emerge il Sacro. Sacro inteso non come qualcosa di spiritualmente legato alla religioni canoniche, ma Sacro in un’etica pagana: tutto ciò che noi sentiamo come carico di vita, ma non si vede più, è arcano e perduto. Emblema di questo è la risposta di Totò alla domanda “cosa sono le nuvole?”, postagli dalla marionetta che per la prima volta alza gli occhi al cielo, nel cortometraggio Che cosa sono le nuvole. Le nuvole, risponde, sono “magnifica, straziante bellezza del creato”.

Il seminario prosegue con una riflessione riguardo Pasolini ed il consumismo. Il professore spiega che Pasolini pensava che il consumismo capitalista fosse la causa per cui tutti abbiamo perso il senso del rapporto umano, perché tutto, anche i sentimenti, è stato reificato, trasformato in mere e prodotto di scambio. Pier Paolo ha scoperto, a fenomeno appena cominciato, che tutto il mondo sarebbe finito entro un unico e rovinoso baratro: l’indifferenza e l’egoismo dell’uomo-consumatore. Per questo Pasolini è inquieto, per questo continua a cercare forme di autenticità. Ci prova anche tentando la ripresa della letteratura greca classica. Egli rifà i miti greci, in particolare Medea e Edipo Re, ma non li ambienta nel loro mondo greco, bensì nelle remote frontiere dell’Africa e della Turchia. In questi luoghi, poveri e non ancora colpiti dall’industrializzazione, egli ricerca l’autentico. Basti pensare a come la macchina da presa indugia spesso sui profili paesaggistici, che diventano protagonisti primi assieme a Medea ed assieme ad Edipo.

Nella ricerca spasmodica di Verità, alla fine, Pasolini ritorna alla letteratura. Riadattamenti di capolavori della grande letteratura, sono infatti, gli ultimi quattro film: i tre della Trilogia della Vita (Il Decameron, I racconti di Canterbury e Il fiore delle Mille e una Notte) e Salò. Dopo essere passato per Napoli, in cui riambienta il fiorentinissimo Decameron, poiché ritiene che Napoli sia l’ultima roccaforte di autenticità in Italia, per la campagna inglese fino all’oriente, egli intuisce che per proseguire la ricerca dell’originario puro è necessario partire dalla rappresentazione di ciò che ne è completa falsificazione: il potere ed il consumismo. La città, i paesaggi esotici, i lunghi campi della macchina da presa lasciano lo spazio ad un luogo chiuso. È così che nasce Salò, che rappresenta un gruppo di potenti che per soddisfare i loro desideri scelgono alcuni tra i ragazzi e le ragazze più belli e li portano all’interno di una villa, che chiudono. Con la collaborazione di alcune signore essi decidono di mettere in scena, per loro libidine, una serie di prove a sfondo sessuale, a cui si dovranno prestare i ragazzi e le ragazze imprigionati. Le prove si susseguono un una climax ascendete di violenza, fino all’eliminazione dell’essere umano.

A questo punto il professor Bazzocchi lancia una provocazione: non è forse estremamente simile al programma televisivo tanto amato dal pubblico medio: il Grande Fratello? Infatti cosa è se non una casa in cui sono rinchiusi ragazze e ragazzi, che devono superare prove e mettere in scena la loro vita intima fino all’eliminazione?
Cosa non è questo se non la vetrina dei social network? Pasolini è stato in grado di creare con Salò una metafora della società che prende i giovani come vittime e li stritola in questo meccanismo, lasciandoli senza più purezza, né sogni, né bellezza.

Rimane molto su cui riflettere davanti ad un autore che non ha mai smesso di parlarci, nemmeno dopo che è stato violentemente messo a tacere.

Il programma completo delle giornate dedicate a Pier Paolo Pasolini lo si può trovare sul sito: http://www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it/molteniblog/pasolini-in-forma-di-rosa-a-verona-dal-21-iv-al-10-v-2015/

Costanza Motta

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