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Intervista a Paolo Sorrentino: «nei momenti di crisi nascono i film migliori»

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Tra i protagonisti del Festival della Bellezza, con il quale l’associazione culturale veronese IDEM ha reso omaggio ai Maestri dello spirito contemporanei, non poteva mancare uno dei più affermati registi nostrani, che di bellezza ha dimostrato di intendersene parecchio. Ci riferiamo a Paolo Sorrentino e al suo pluripremiato La grande bellezza, divenuto un titolo iconico della filmografia mondiale.

Bagno di folla al Teatro Romano di Verona per Paolo Sorrentino
Bagno di folla al Teatro Romano di Verona per Paolo Sorrentino

Dal palcoscenico del Teatro Romano di Verona, esaurito in ogni ordine di posto, il regista dialoga con il pubblico con un linguaggio semplice e colloquiale, sviscerando aneddoti e retroscena di ognuno dei suoi sette film, facendo trasparire molto di sé e dello sguardo disincantato e venato di malinconia con cui osserva vizi e virtù dell’umanità che lo circonda. Lo fa senza mai prendersi troppo sul serio – «sul set sono una sorta di dittatore ma in famiglia sono l’ultima ruota del carro» -, indugiando più sulle proprie debolezze che sui punti di forza – «non sono sicuro di avere una poetica, né tantomeno un manifesto» -, ridimensionando il lavoro del regista – «che è un grande gioco che non cambia la vita di nessuno». I suoi personaggi non sono proiezioni di se stesso, ma, piuttosto, di come vorrebbe essere, e parlando della sterile sincerità del personaggio di Jep Gambardella ci lascia interdetti affermando: «nella vita l’ipocrisia è un salvacondotto, c’è un credo eccessivo nella forza della verità, io credo nella forza dell’ipocrisia».

Rispondendo alle domande della sua interlocutrice, Paolo Sorrentino svela molti dei suoi segreti professionali, dall’abilità a girare incipit dirompenti («se giri un bell’inizio lo spettatore cercherà la bellezza in tutto il film, restando al suo posto fino alla fine») ai tempi di lavoro («per scrivere il soggetto impiego solo 20 giorni, mentre dedico 4-5 mesi per i provini e per la ricerca meticolosa della location ideale, dato che non amo girare nei teatri di posa, troppo comodi e silenziosi»). Non delega neppure sulla scelta della colonna sonora che preferisce scegliere attingendo dalla buona musica già esistente, abbinando generi diversi, dalla lirica al pop, per sortire effetti di maggiore suggestione sonora.

Tra gli attori tecnicamente più sorprendenti cita in primis Sean Penn e Tony Servillo:

Sean Penn e Paolo Sorrentino sul set di This must be the place
Sean Penn e Paolo Sorrentino sul set di This must be the place

Mi avevano detto che Penn era un uomo impossibile, invece si è rivelato un attore che conosce bene le esigenze di chi sta dietro la macchina da presa. Per mettere a punto il personaggio protagonista di This must be the place abbiamo fatto una sola prova di trucco e costumi, e nei 40 minuti necessari Penn si veniva trasformando in un’altra persona. Dietro al rossetto, alla voce alterata, alla camminata che lui stesso definiva “come quella dei ricchi che si vergognano di essere ricchi” l’attore si trasfigurava fino a diventare irriconoscibile. Con la medesima abilità Servillo sul set del film Il Divo si trasformava in Giulio Andreotti, tanto da incutere soggezione nella troupe, che gli si rivolgeva con deferenza come avrebbe fatto con l’originale.

Al termine della sua conferenza-spettacolo, assediato da centinaia di fan, Paolo Sorrentino firma autografi, stringe mani, si mette in posa per improbabili selfie andando ben oltre la mezzanotte. Nonostante sia visibilmente provato, anche per il clima torrido della serata, accetta di buon grado di scambiare con noi qualche battuta.

 

Maestro Sorrentino, guardando al passato, dopo le grandi pellicole del Neorealismo del secondo dopoguerra, ed il cinema di denuncia sociale degli anni di piombo, nei decenni successivi la commedia goliardica ed i cinepanettoni sembravano aver decretato la fine della nostra grande tradizione cinematografica. In questi ultimi anni, piuttosto bui sotto molti punti di vista, la qualità delle produzioni ha ripreso quota. Possiamo individuare un nesso tra periodi di crisi e grande cinema?

Senza dubbio, sì. Se ripensiamo ai grandi autori degli anni ’40 e ’50 che hanno tratto ispirazione dal dualismo di un Paese devastato, tra miseria e desiderio di riscatto, a quelli degli anni ’70, che hanno indagato negli aspetti socio-politici della realtà, fino alla nuova generazione di registi attuali, emerge che i periodi di difficoltà, i momenti di tensione sociale creano buoni film. Le difficoltà stimolano la creatività ed alimentano la tensione che porta a produrre qualcosa di significativo.

 

Lei prima ha affermato che nel cinema non è contemplata la democrazia, è uno spazio in cui il regista può esercitare un potere assoluto. Quali doti sono indispensabili?

Tony Servillo e Paolo Sorrentino
Tony Servillo e Paolo Sorrentino

Sicuramente il film è un’opera corale, ma il comando della troupe è saldamente affidato al regista e il difficile sta nel gestire troupe che, con il crescere dell’importanza del film, divengono sempre più numerose. Non ci si deve mai distrarre, in un ambiente che di distrazioni ne offrirebbe molte. L’attitudine principale del regista l’ha detta chi era più bravo di me, l’ha detta François Truffaut, ed è quella di saper tenere unito il tutto. Il rischio è quello di perdere di vista gli obiettivi iniziali,  i motivi per cui si è fatto il film, dato che  dalla sua ideazione alla distribuzione possono trascorrere anche due anni. Altra dote è quella di saper guardare dove gli altri non guardano. Una capacità che condivido con l’amico Tony Servillo, con cui si è creato un sodalizio che nasce dalla capacità di entrambi di osservare il prossimo e di saperne ridere segretamente. Potrei dire che la nostra è un’amicizia nata da una comune attitudine al divertimento. D’altra parte anche nei momenti tragici c’è sempre qualcosa di comico, ben lo sapevano Sordi, Scola ed i grandi protagonisti della commedia italiana.

 

Tuttavia i suoi film sono sottilmente malinconici…

Io sono stato un bambino molto malinconico. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il sentimento della malinconia si sviluppa da bambini, oggi questa sottile sensazione fatico a ritrovarla. Come regista ho sempre desiderato di realizzare una commedia che facesse ridere il pubblico, ci provo ogni volta, ma non ci sono ancora riuscito. Forse perché i miei soggetti effettivamente non si prestano allo scopo.

 

C’è un un legame o un messaggio comune nei suoi ultimi due film?

Paolo SorrentinoIl primo è un film che guarda al passato, il secondo esprime la necessità dell’uomo di ogni età di proiettarsi verso il futuro. Non parlerei di messaggio, in quanto i miei film non vogliono lanciare messaggi, perché ciò significherebbe essere pedagogici, e io detesto essere pedagogico. Non ne sono in grado e non lo voglio essere. Credo piuttosto nel potere evocativo delle immagini, che al di la del significato devono regalare un godimento estetico che appaghi lo spettatore.

 

Quali Maestri del cinema e della letteratura hanno influito maggiormente sulla sua formazione artistica?

Tra i grandi registi cui mi sono ispirato cito tre nomi che rappresentano il punto di incontro tra altrettanti generi cinematografici: Federico Fellini, Martin Scorsese e François Truffaut. In letteratura ripensando ai tanti libri che mi hanno influenzato scelgo Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Cèline, perché contiene una sconcertante capacità di conoscere tutte le bassezze dell’essere umano, consente di specchiarsi nel proprio lato oscuro.

 

Lei è anche un romanziere di successo. Cosa le dà in più rispetto al cinema la scrittura? A quale regista affiderebbe la trasposizione del suo romanzo Hanno tutti ragione?

La scrittura ti dà la libertà, ti offre la possibilità  di scrivere quello che ti viene in mente, fino a quando hai qualcosa da dire. L’editore ti può lasciare maggiore libertà rispetto al produttore, perché un libro non ha i costi di un film, ed il rischio economico è quindi limitato.
«A chi dovrei affidare il mio romanzo, se non a me stesso? – conclude scherzosamente – Meglio di me non lo saprebbe fare nessuno».

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Valentina Cognini

Nata a Verona 24 anni fa, nostalgica e ancorata alle sue radici marchigiane, si è laureata in Conservazione dei beni culturali a Venezia. Tornata a Parigi per studiare Museologia all'Ecole du Louvre, si specializza in storia e conservazione del costume a New York. Fa la pace con il mondo quando va a cavallo e quando disquisisce con il suo cane.

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