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Il sesso nella commedia antica:
strumento di potere e di democrazia

8 minuti di lettura

 

Politica, sesso, cibo: questi tre, irrinunciabili elementi, uniti a personaggi dai nomi improponibili e a situazioni assolutamente utopistiche, erano gli ingredienti della commedia greca antica, che si riassume per noi quasi esclusivamente nel nome del commediografo Aristofane. La fase della commedia greca che si è soliti chiamare antica è paragonabile in qualche modo ai nostri programmi satirici, qualcosa tipo i monologhi di Maurizio Crozza, per intenderci: strettamente legati agli eventi contemporanei, entrambi devono la loro comicità al saper ironizzare sulle storture della società che il pubblico conosce perfettamente.

Proprio per questa sua caratteristica, la commedia greca era destinata a non durare nel tempo: a causa dei suoi continui riferimenti alla politica e alle personalità dell’Atene di fine V secolo, infatti, si presta poco ad essere rappresentata in un contesto diverso da quello per cui è stata pensata. Riprendendo la similitudine precedente, è come se dovessimo oggi rileggere una vignetta satirica degli anni ’90; il tempo che impiegheremmo a ricordare qual era il contesto in cui è stata prodotta (sempre se riuscissimo a ricordarlo) farebbe svanire tutto l’effetto comico.

Ma, come abbiamo detto, la politica non era l’unica caratteristica della commedia in grado di suscitare il sorriso; i riferimenti sessuali erano un elemento assolutamente irrinunciabile e questo, forse, può far sorridere ancora anche noi. Per ciò che possiamo ricostruire, il sesso era presente in modo massiccio in ogni situazione della commedia: battute e doppi sensi abbondavano e, quando si voleva insultare un personaggio, non si poteva trovare di meglio che accusarlo di pensare solo a masturbarsi. Si pensa addirittura che uno degli apparati scenici degli attori fosse un fallo eretto in cuoio. In due commedie di Aristofane, poi, il sesso non è soltanto un elemento comico inserito qua e là nella trama, ma costituisce una parte fondamentale della trama stessa. Il modo in cui viene trattato è molto interessante: proprio in queste opere i protagonisti non sono gli uomini, come sembrerebbe ovvio in una società androcentrica e fallocentrica, ma le donne che, in un mondo che le vorrebbe relegate in casa nel ruolo di mogli e madri, pretendono invece un potere maggiore. E per farlo utilizzano l’unico strumento che potevano all’epoca avere: il sesso, appunto.

La prima, in ordine cronologico, di queste due commedie è la Lisistrata, una delle sue commedie più divertenti e apprezzabili. Nell’Atene del 411 a.C., quasi completamente consumata dalla guerra, le donne di tutta la Grecia si riuniscono e prendono una drastica decisione: metteranno in atto uno sciopero del sesso fino a quando i loro mariti non firmeranno la pace. Tutta la trama rimbalza tra le donne, che tengono fede al loro proposito seppur con qualche difficoltà, e gli uomini, che, dapprima canzonatori nei confronti delle mogli, alla fine sono così frustrati da accettare il patto senza riserve. Il sesso è qui visto come una debolezza e, al tempo stesso, uno strumento di potere. All’inizio della vicenda le donne, guidate da Lisistrata, in modo molto umano ed esplicito, affermano di non sapere se riusciranno a mettere in atto il piano ideato: «È difficile per una donna» afferma Lampitò, capo delle mogli Spartane «coricarsi nel letto senza un membro eretto di fianco». Ma alla fine la decisione è presa e, benché con un notevole sforzo, le donne si impegnano a sedurre i propri mariti, in modo da accrescere in loro il desiderio e alla fine “lasciarli in bianco”; rinunciando al sesso, le donne ne fanno uno strumento di ricatto nei confronti degli uomini, che invece non sanno resistere. Emblematica e molto divertente è la scena tra due coniugi, Cinesia e Mirrina: lui si precipita sull’acropoli, dove sono arroccate le donne, in evidente stato di eccitazione e tenta di convincere la moglie a concedersi a lui; lei sembra inizialmente accettare, ma poi comincia a inventare un pretesto dietro l’altro pur di allontanarsi dal marito e lasciarlo insoddisfatto.

La seconda commedia è meno maliziosa, ma ugualmente interessante: si tratta de Le donne al parlamento, scritta parecchi anni dopo la Lisistrata. Anche qui le donne, stufe del malgoverno degli uomini che ha precipitato la città nel caos, decidono di governare loro stesse Atene. Travestite da uomini, entrano nell’assemblea cittadina e riescono a far approvare un decreto che conferisce loro poteri plenari (è l’unica cosa che non è mai stata tentata! dicono per convincere il popolo); il loro governo si fonda su una specie di super-democrazia o, se vogliamo, di proto-comunismo in cui tutti devono mettere in comune le proprie sostanze, che verranno poi equamente ripartite tra i cittadini in base alle loro esigenze. Tra questa condivisione ha un ruolo di primo piano, ovviamente, il sesso: non ci sarà più la coppia formata da marito e moglie, ma ognuno sarà libero di unirsi a chi gli va; non ci sarà il problema della paternità dei figli, perché anche questi verranno messi in comune e cresciuti dall’intera comunità. Ma non è finita qui. Per evitare che i brutti e i vecchi vengano messi da parte, il nuovo regime prevedere che, prima di scegliere una donna attraente, gli uomini siano costretti a “passare tra le mani” di chi è meno desiderabile. Qui dunque il sesso non è più strumento di potere, ma mezzo per raggiungere la perfetta democrazia in cui non può esistere la proprietà privata, nemmeno del proprio coniuge.

Siamo nel V-IV secolo a.C, eppure gli argomenti di discussione sono assolutamente attuali: uomini restii ad affidare alle donne le posizioni di comando e donne che cercano di far valere se stesse, dimostrando di non essere semplicemente “angeli del focolare”. Ma, poiché un tale moto di protofemminismo non poteva essere facilmente accettato, ecco che interviene la tematica erotica che, benché parte funzionale della trama, alleggerisce il tutto e crea situazioni decisamente comiche. In questo senso e con le dovute rivisitazioni, la commedia greca ha ancora molto da offrirci.

 

Silvia Ferrari

Classe 1990, nata a Milano, laureata in Filologia, Letterature e qualcos'altro dell'Antichità (abbreviamo in "Lettere antiche"). In netto contrasto con la mia assoluta venerazione per i classici, mi piace smanettare con i PC. Spesso vincono loro, ma ci divertiamo parecchio.

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