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I musei, la furia ideologica anti-sindacale
e quel senso del ridicolo ormai perso

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9 minuti di lettura

Tutto in una giornata. Più precisamente in quella di ieri, 18 settembre, quando, in meno di dodici ore, prima i cancelli del Colosseo restano chiusi per via di un’assemblea sindacale, poi il decreto approvato nel Consiglio dei Ministri pomeridiano fa rientrare i musei nel novero dei servizi essenziali.

assemblea sindacale colosseo 2Andiamo con ordine. Alle ore 8.30 i tanti turisti, italiani e stranieri, che ogni giorno visitano il Colosseo, hanno trovato chiusi gli ingressi del monumento, con un foglio di avviso che recita: «Si informano i visitatori che oggi 18 settembre 2015 il Colosseo resterà chiuso dalle ore 8.30 alle ore 11.00 causa assemblea sindacale del personale di custodia. Ci scusiamo per il diasagio», con, nella versione in lingua inglese, una gustosissima chicca: le 11.00 diventano le 11.00 p.m., cioè le 23.00. Al di là di questo, non è stato il solo Colosseo a rimanere chiuso, un’analoga sorte è infatti toccata anche all’area archeologica del Foro Romano e del Palatino, alle Terme di Diocleziano e a Ostia Antica.

Facilmente immaginabile la rabbia dei turisti che hanno dovuto aspettare due ore l’apertura dei cancelli. Altrettanto facilmente immaginabili anche le immediate reazioni della politica: dal ministro Dario Franceschini, titolare del MiBact, che su Twitter tuona «La misura è colma», al sindaco di Roma, Ignazio Marino, che definisce la suddetta assemblea «uno sfregio per il nostro Paese». Passando, ovviamente, dal premier Matteo Renzi, che ha così potuto trovare nuova e fresca linfa per la sua personale crociata contro i sindacati: «Non lasceremo la cultura ostaggio di quei sindacalisti contro l’Italia». A stretto giro arriva anche, puntualissima, la replica di Susanna Camusso: «Strano paese quello in cui un’assemblea sindacale non si può fare» commenta la leader della Cgil. «Capisco che uno possa dire di fare attenzione nei periodi di maggiore presenza turistica ma se ogni volta si dice che l’assemblea non si può fare allora si dica chiaramente che non si può avere uno strumento di democrazia. Servizio pubblico non vuol dire che non si può avere la possibilità di fare assemblee o scioperi».

La chiusura del Colosseo è uno schiaffo ai tanti cittadini e turisti che volevano visitare il sito più importante e amato d’Italia, uno sfregio per il nostro paese.

Posted by Ignazio Marino on Venerdì 18 settembre 2015

 

assemblea sindacale colosseo
(Clicca per ingrandire)

Stando a quanto raccontato fin qui, si potrebbe pensare che probabilmente i sindacati non avessero avvisato della convocazione dell’assemblea, altrimenti non si spiegherebbero i turisti ugualmente in coda. Ebbene, tale convocazione, come spiega la Cgil, c’è stata, secondo norma, ed è stata autorizzata. Eppure i turisti in coda c’erano lo stesso. Colpa di chi? Del sindacato? Del MiBact? Ai posteri l’ardua sentenza…

Le dichiarazioni del ministro Franceschini, inoltre, suonano abbastanza ridicole, perché, come si evince dalla lettura del documento dei sindacati, tra le ragioni della convocazione dell’assemblea vi è il «mancato pagamento delle indennità di turnazione e delle prestazioni per le aperture straordinarie dei luoghi della cultura (primo maggio, aperture serali, etc.), dopo quasi un anno solare di inutile attesa». Insomma, le attività straordinarie di cui il ministro è stato prontissimo a farne gran vanto non sono state retribuite. In effetti ora «la misura è colma»! Le buone ragioni per convocare un’assemblea da parte dei sindacati quindi c’erano tutte.

Questo però non significa ancora che Franceschini abbia torto e i sindacati ragione da vendere. Comunque la si guardi, e al di là delle ideologie, l’aver trovato chiusi i cancelli di un luogo simbolo dell’Italia, come il Colosseo, ha pur sempre creato un danno all’immagine del nostro Paese. Tuttavia l’errore dei sindacati non sta nell’aver convocato una – legittimissima – assemblea, quanto nel non aver comunicato in modo adeguato la cosa, errore condiviso, senza ombra di dubbio, con il ministero.

Insomma: il ministero ha (doppiamente) sbagliato, i sindacati hanno sbagliato… e nel mezzo ci sono i turisti, rimasti in coda per ore fra delusione e rabbia.

Uno dei commenti più frequenti alla vicenda, proveniente in genere da persone ideologicamente affini al premier, è stato che «solo in Italia succedono queste cose!». Ma, a ben vedere, nemmeno questo è vero. Come ha mostrato l’Huffington Post, infatti, avvenimenti analoghi sono all’ordine del giorno pressoché ovunque, dalla National Gallery di Londra a La Alhambra di Granada, al Louvre e alla Tour Eiffel di Parigi. Ad essere tipicamente italiana, semmai, è la pessima gestione della situazione, nonostante in questo caso l’assemblea sia stata regolarmente convocata, mentre nei succitati casi ciò non sempre è avvenuto.

Ma la giornata di ieri però non è finita così. Nel pomeriggio era infatti previsto un Consiglio dei Ministri per discutere del Def, il Documento di economia e finanza, e Franceschini, con il pieno appoggio di Renzi, ha colto la palla al balzo per lanciare la proposta: considerare i musei come servizi pubblici essenziali, vale a dire quei settori che si occupano dei «diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione». In tali settori la normativa prevede che «in caso di sciopero deve essere assicurata l’erogazione delle prestazioni qualificate come indispensabili», con la possibilità quindi di precettazione (da Wikipedia).

Ma siamo davvero sicuri che i musei siano servizi essenziali, al pari, ad esempio, degli ospedali? Se si trova chiuso per sciopero un museo, difficilmente ne va della vita di una persona, se ciò accade con un pronto soccorso forse sì. Per carità, la cultura è bella, la cultura è importante, senza cultura non si vive, eccetera, ma non è che, nella furia ideologica anti-sindacale, si sia passato un po’ il limite del ridicolo? Soprattutto, davvero sussistono quei presupposti di urgenza necessari per ricorrere al decreto legge ministeriale, anziché al disegno di legge parlamentare? Franceschini, in conferenza stampa, ha così motivato la decisione: «ci sono disagi per i turisti e c’è un danno di immagine per l’Italia».

In effetti il disagio subito dai turisti che devono aspettare – addirittura! – due ore in coda è molto più urgente a quello provato dai dipendenti MiBact che da un anno non vengono pagati per le aperture straordinarie dei musei…

 

assemblea sindacale colosseo 3

 

 

 

 

 

 

Michele Castelnovo

Classe 1992. Laureato in Filosofia. Giornalista pubblicista. Direttore di Frammenti Rivista e del suo network. Creator di Trekking Lecco. La mia vita è un pendolo che oscilla quotidianamente tra Lecco e Milano. Vedo gente, scrivo cose. Soprattutto, mi prendo terribilmente poco sul serio.