fbpx
Placeholder Photo

Fenomenologia di Whatsapp

8 minuti di lettura

Premetto che io amo tutte quelle scematine tecnologiche offerte dal mercato negli ultimi anni: alle medie, sono stata una dei primi ad avere l’iPod e ora possiedo un tablet e uno smartphone che è talmente smart da sapere cosa voglio scrivere ancora prima che io lo abbia scritto. È straordinario: io voglio dire “mi piace un botto”, inizio a scrivere “mi”, e il cellulare da solo mi suggerisce “piace”. Poi digito: “un” e lui in piena autonomia mi suggerisce “botto”. Sono i miracoli della tecnologia, signori miei, che sa che sono di fretta tra treno, metro, lezione, quarti d’ora accademici e tutto, al punto che il mio iPhone pensa per me e mi fa risparmiare tempo, suggerendomi cosa scrivere. Meraviglia.

Ecco, però, io credo che tra tutte queste meraviglie, ci sia una cosa più meravigliosa delle altre: Whatsapp, l’applicazione nata nel 2009 che permette di chattare gratis con gli altri utenti che la possiedono. Ammettiamolo: ognuno la pensi come vuole a riguardo, ma la vita ce l’ha cambiata.

Ora, però, questa applicazione smart per cellulari tanto smart da risparmiarti la fatica di comporre un messaggino di per tuo diventa sempre più evoluta e non bastava più la famigerata “ultima connessione alle..” a farci venire la gastrite, no: ora ci sono anche le spunte blu. Mi sembra inutile stare a spiegare come funzioni l’app, ma per i profani della tecnologia ecco, paucis verbis, di cosa si tratta: prima, quando qualcuno ti mandava un messaggino, tu lo aprivi, lo leggevi, deliberatamente non rispondevi, salvo poi dire “scusa, non l’ho letto”, unito ad una scusa random che poteva spaziare dal “non avevo batteria” al “c’era poca rete”. Ora non più, perché quando leggi il messaggio le due spuntine grigie di avvenuta consegna diventano blu, e se guardi bene puoi pure vedere l’ora esatta in cui l’altro ha letto il messaggio. Come dire: se già prima avevamo l’armadio spalancato, ma quantomeno il tempo per metter via gli scheletri c’era, ora nemmeno quello. Manco a dirlo, polemiche su polemiche. In ogni caso, Whatsapp e i suoi utenti sono una piattaforma di osservazione antropologica di inestimabile valore. Personalmente, la uso da tre anni e ho avuto modo di individuare diversi tipi umani legati al (forse non più così tanto) favoloso mondo della chat istantanea:

  1. uno, quello con l’anima sporca: il soggetto rientra nella categoria di coloro che hanno oscurato l’ultimo accesso: tu apri la chat con loro e, a meno che non siano in linea in quel momento, non hai modo di sapere quando si sono connessi. È chiaro: hai qualcosa da nascondere, altrimenti non si spiega;
  2. due, quello che si connette ad orari assurdi: “Tizio: ultima connessione alle 3:26 di oggi”, e oggi, tipo, è martedì. Mar-te-dì. Non sabato, che una connessione a quell’ora ci puo anche stare. E allora io, che sono curiosa come una gatta, chiedo: scusa, ma cosa stavi facendo a quell’ora su Whatsapp? “Guardavo l’ora”.. SU WHATSAPP?!
  3. tre, quello che ti manda le foto: l’utente in questione è quello che ti manda una foto per qualsiasi cosa. Va a fare una passeggiata, foto; va al ristorante, foto; va al concerto del suo mito, quello di cui ti parla da mesi, che tu non vedi l’ora che ci vada per avere un po’ di tregua e lui che fa? Manda una foto. Di “quello che ti manda le foto” c’è anche la variante over: gli over sono gli adulti che si mandano tra di loro foto di gattini, cagnolini, coniglietti, corredati da scritte pacchiane glitterate, che recitano: “buongiorno”, o “notteeeee amiciiiiiiiiii”;
  4. quattro, quello che ti manda i messaggi vocali: devo ammettere che sono esemplari rari, e perciò da manovrare con particolare cautela; al posto che scrivere, loro parlano. Che di per sé non è un male, ma di solito i messagi vocali sono registrazioni di trenta secondi di cui ne vengono utilizzati circa 7/8, quando ti va bene, perché i restanti ventitré sono rumori indistinti di sottofondo, culminanti nel classico: “ah, ma sta già registrando”.

In ultimo, last but not least, vorrei porre l’accento sulla Piaga con la “P” maiuscola: d’altronde ogni epoca ha la sua, al medioevo è toccata la peste, a noi la chat di gruppo. Che quando ti va bene è con quelle quattro o cinque persone con cui ti vedi di solito e la usi per prendere accordi su dove e quando incontrarti e morta lì; quando ti va male, e cioè quando alla conversazione partecipano più di dieci persone, vuol dire che nella tua vita precedente sei stato davvero cattivo. Dico sul serio, le chat di gruppo numerose sono la prova che se esiste un inferno è qui, nell’app store di Apple o Android, e che il maligno si insinua nel milione di notifiche che ogni ora intasano il cellulare. Le chat di gruppo spesso non sono nient’altro che il rifugio perfetto per tutte le categorie sopracitate.

Tutte insieme, in una sola chat, che vomita notifiche ogni minuto, per tutto il giorno. I migliori sono quelli che fanno le ore piccole e poi scrivono alle cinque della mattina sul gruppo, svegliando in contemporanea venti persone. Poi ci si chiede perché siamo isterici. E comunque, devo ammettere che la chat di gruppo è una piaga facilmente sanabile: o metti il silenzioso, o ti elimini, con la consapevolezza che sul gruppo sparleranno di te per i prossimi mesi.

Nonostante tutto, io sono un’utilizzatrice abbastanza convinta di Whatsapp e ne riconosco la grande comodità, ma mi viene ugualmente da chiedermi: come saremmo stati se Whatsapp non fosse mai entrato nelle nostre vite? Meglio, peggio? Non saprei. E poi dico anche: ma via, usiamolo!, salvo poi spegnerlo quando non è necessario. La vita è troppo breve per passarla a fissare lo schermo dello smartphone.

 

 

 

Giulia Malighetti

23 anni, laureata a pieni voti in Lettere Classiche alla Statale di Milano, amante della grecità antica e moderna spera, un giorno, di poter coronare il suo sogno e di vivere in terra ellenica.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.