Nel saggio Le Cinéma expressioniste. De Caligari à Tim Burton (2008), il critico francese Jacques Aumont lancia una chiara provocazione: «l’expressionnisme au cinéma, allemand ou autre, n’existe pas et n’a pas existé» («l’espressionismo nel cinema, tedesco o altro, non esiste e non è mai esistito»).
Non poteva effettivamente esistere definizione migliore per questo tipo di avanguardia tedesca apparentemente inesistente come genere cinematografico, in quanto si tratta, in realtà, di una sintesi di diverse forme artistiche.
Lo sviluppo del cinema espressionista tedesco può essere diviso in tre periodi principali che evidenziano le varie influenze subite nel corso del tempo.
Il primo momento di sviluppo per il cinema espressionista tedesco comprende gli anni ’10 del Novecento. Inizialmente, abbiamo a che fare con un genere che possiamo quasi definire “fantastico” e che vediamo esemplificato nella produzione Il Golem (1915) di Paul Wegener e Henrick Galeen. La trama riprende una leggenda ebraica risalente alla Praga medievale che narra di un colosso di argilla animato dal rabbino Löw e che ben presto si ribella al suo stesso creatore e si innamora della figlia. Risulta evidente in questa pellicola il fascino per l’irrazionale, il mistero e il macabro, mentre il tema della dualità uomo-robot si intreccia con le affascinanti sfumature della tradizione cabalistica, interrogandosi su cosa sia realmente l’umanità nella nostra società.
Tra il 1905 e il 1914, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, l’espressionismo tedesco raggiunge il suo massimo momento di sviluppo. Non esiste una scuola, un manifesto o una corrente definita, i produttori si rivolgono sempre più spesso ad artisti che realizzano surreali ambientazioni per condannare l’arte in quanto forma di illusione destinata forzatamente a imitare la Natura. Dal punto di vista figurativo, si sviluppa sempre di più un vero e proprio interesse per forme e disegni di matrice primitiva che apparentemente ricordano una dimensione quasi infantile e naïve dell’arte. La corrente del cinema espressionista tedesco rende il cinema stesso visionario, distorto che indaga le ambiguità della nostra anima e le forze oscure del quotidiano. In tutto ciò, la scenografia riveste un ruolo fondamentale nella riuscita della produzione. Composto principalmente da linee decise, angoli acuti, forme geometriche zigzaganti che giocano sui contrasti del bianco e del nero, il decoro comprende anche lo stesso corpo dell’attore, che attraverso un linguaggio fisico a dir poco onirico partecipa al senso di irrazionalità e spaesamento che l’intera produzione comunica.
Secondo una visione purista del cinema tedesco, gli unici due film che possiamo realmente considerare come esempio del cinema espressionista tedesco sono Il gabinetto del dottor Caligari (1920) di Robet Wiene e Dall’alba a mezzanotte (1920) di Karl Heinz Martin.
In particolare, Il gabinetto del dottor Caligari rappresenta un fondamento imprescindibile della nostra storia del cinema. Il complesso intreccio di vicende ruota attorno alla scomparsa della giovane Jane Olsen, fatto già predetto dal sonnambulo Cesare ai due amici Francis e Alan. Attraverso un inseguimento a metà strada tra realtà e illusione, tra incubo e allucinazione, l’atmosfera quasi medievale e il tema dell’ipnosi e della follia si esprimono per mezzo di forme di decoro inconsuete che evidenziano l’allure di mistero dei personaggi, sempre divisi tra bene e male, che in questa produzione diventano letteralmente spettri dei loro stessi corpi. La magistrale scenografia che da quel momento in poi detterà i canoni del cinema tedesco viene infatti realizzata su tele da Hermann Warm e dai pittori Walter Reimann e Walter Röhrig, chiaramente ispirati dallo stile dell’artista Ernst Ludwig Kirchner.
Un terzo periodo dello sviluppo della cinematografia tedesca in quegli anni è denominato Kammerspiel, ovvero musica da camera, in quanto si tratta di una produzione “per pochi”, in un ambiente raccolto, dove viene privilegiato il rapporto intimistico con lo spettatore. Rispetto alle produzioni degli anni precedenti, infatti, il tema del dramma familiare e del disagio politico e sociale diventano principale fonte di ispirazione per una narrazione dell’interiorità psicologica.
Se nelle produzioni espressioniste la camera risultava sostanzialmente fissa, qui l’inquadratura è libera di sperimentare diversi generi di movimenti e di immagini, sfruttando anche l’innovazione tecnologica, come fa per esempio Friedrich Wilhelm Murnau nel suo film L’ultima risata (1924), dove viene definitivamente abbandonato l’uso del treppiede per un tipo di cinepresa che segue gli spostamenti sulla scena.
Il tema della macchina non è solo elemento fondamentale per uno sviluppo tecnico della produzione, ma diventa vero e proprio tema di riflessione sul rapporto tra l’uomo e la tecnologia. Un esempio sono le realizzazioni del cineasta Fritz Lang, Il Dottor Mabuse (1922) e Metropolis (1927), che rappresentano la macchina come creatura mostruosa ormai incontrollabile che si nutre letteralmente della vita umana e che ormai ha preso il sopravvento in una società già affetta dal “morbo” del capitalismo. In particolare, Metropolis rappresenta una delle super produzioni della società cinematografica tedesca UFA (Universum Film AG), nata nel 1917 con obbiettivi propagandistici e capitanata da Erich Pommer, in concorrenza con il grandioso cinema hollywoodiano di David Wark Griffith. Se il tema della rivolta sociale è facilmente riconducibile all’indimenticabile Sciopero! (1924), realizzato pochi anni prima in Russia dal cineasta Sergei Eisenstein, questo primo modello di pellicola fantascientifica unisce passato e futuro senza esitare a citare il grande Teatro e l’Antico Testamento in una visionaria previsione che ci proietta nell’anno 2026, in cui le macchine dominano gli uomini e il classismo divide la società.
Il cinema espressionista tedesco ha sicuramente rappresentato una tappa obbligata, che contribuisce a definire il cinema come nuova forma di espressione di ampio respiro, al pari delle altre arti figurative. La costituzione dell’UFA ha contribuito, inoltre, a sviluppare il lato più “industriale” della produzione cinematografica, diffondendolo in tutta Europa, senza dimenticare gli importanti spunti provenienti da Stati Uniti e Russia.
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