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Balto e il global warming: in Alaska non nevica, a rischio la celebre gara Iditarod

Quest’anno, per la prima volta nei 49 anni della sua storia, la partenza della Iditarod Trail Sled Dog Race è stata a rischio per una causa davvero insolita. Di che cosa si tratta?

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Chi non ricorda la coraggiosa missione di Balto, mezzo cane e mezzo lupo, resa celebre anche dall’omonimo cartone animato? Una spedizione pericolosa, una sfida contro il gelo e le bufere di neve dell’Alaska. Una disperata staffetta di circa 1600 chilometri su slitte trainate da cani, partendo da Anchorage per portare dei medicinali contro la difterite a Nome, nel gelido inverno del 1925. Un’impresa, quella di Balto e del suo padrone Leonhard Seppala, resa possibile proprio dalla neve, sulla quale la loro slitta correva veloce.

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La leggenda vuole che la Iditarod Trail Sled Dog Race, una corsa di oltre 1600 chilometri su slitte trainate da cani, che ripercorre la rotta seguita dalla slitta di Seppala, sia nata proprio per celebrare questo eroico gesto. La gara si tiene ogni anno dal 1967 e negli anni pari si svolge partendo da Anchorage (la città più grande in Alaska) per arrivare a Nome, mentre negli anni dispari si fa il contrario. Al vincitore della prima edizione servirono circa venti giorni per terminare il tragitto. Oggi i tempi si sono quasi dimezzati, grazie alla migliore preparazione dei cani e alle maggiori risorse a disposizione dei partecipanti. La slitta può essere trainata da un massimo di 16 cani e almeno 6 di loro devono arrivare al traguardo. Il percorso è costituito da 27 tappe e i partecipanti hanno l’obbligo di firmare un registro ad ogni tappa, ma non sono costretti ad accamparsi. Questa gara infatti, come ben sanno i partecipanti, si vince anche non fermandosi mai per riposare. I cani feriti o troppo stanchi per continuare possono essere lasciati nelle strutture di ricovero, dove vengono curati da dei veterinari. In alcuni punti del tragitto, le temperature possono toccare i -70 gradi.

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Ma quest’anno, per la prima volta nei 49 anni della sua storia, la partenza, prevista per il 5 marzo, è stata a rischio per una causa davvero insolita: mancanza di neve. Suona strano, visto che l’Alaska, nell’immaginario collettivo comune, è soprattutto un paese dove fa molto freddo e nevica spesso, ma è così. Ad Anchorage, le temperature negli ultimi giorni sono state molto più alte del solito e di conseguenza non c’era abbastanza neve per permettere alle slitte di percorrere il tratto iniziale della corsa. Le poche volte che ha nevicato, il caldo ha fatto sciogliere immediatamente la neve. È stato quindi necessario far trasportare 7 vagoni carichi di neve per oltre 360 miglia, da Fairbanks, località più a nord rispetto ad Anchorage. Questa misura d’emergenza non è però bastata ed è stato necessario accorciare comunque la gara di circa 5 chilometri. E non è neanche un episodio isolato. Già l’anno scorso, lo stesso problema aveva costretto gli organizzatori a spostare il percorso di trecento miglia a nord, alterando la rotta originale della staffetta verso Nome.

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Mettendo da parte il fatalismo, il fatto che non nevichi in Alaska può essere considerato un altro sintomo dei cambiamenti climatici e del surriscaldamento globale. Anche con la concessione che due anni di fila di altissime temperature possono essere una semplice coincidenza, ignorare del tutto questo fenomeno vorrebbe dire mettere la testa sotto la sabbia. Non sotto la neve, perché non ne scende più.

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Yuri Cascasi

Nato nel 1991, laureato in Lingue e Letterature Straniere all'Università degli Studi di Milano. Molte passioni si dividono il mio tempo, ma nessuna riesce a imporsi sulle altre. Su di me, invece, ci riescono benissimo.

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