fbpx

Cinquanta sfumature di grigio o di male

10 minuti di lettura

Sei una ragazza mediamente piacente. Vieni dalla provincia e con tanta fatica riesci a superare i pregiudizi e a trovare un lavoro stabile in una rivista. La suddetta rivista ti spedisce a fare un’intervista ad un tale Christian Grey, uno talmente cool da imprimere il suo marchio su qualunque cosa ponga la mano. È come un Ken ultra accessoriato: ha l’elicottero, un attico con vista mozzafiato, una compagnia multimiliardaria che porta il suo nome e chi più ne ha più ne metta. Così inizia di Cinquanta sfumature di grigio.

Mentre ti accingi ad iniziare l’intervista, noti che quest’individuo ti guarda come se volesse spogliarti con gli occhi. Eccitatissima, quando lui ti chiede di rivederlo, non stai più nella pelle. Poi, per una serie di eventi, scopri i suoi particolari gusti nell’arte amatoria: ha un debole per le pratiche sadomaso e affini. Non è un espediente per provare, di tanto in tanto, un piacere nuovo o particolare, anzi ha una stanza piena di attrezzi da far invidia ad un negozio specializzato. Ora: una donna normale, che non disdegna un po’ di pepe nella vita, ma che sa riconoscere in tutto ciò un grave disturbo psicologico, gira i tacchi e se ne va, ma non prima di avergli lasciato il biglietto da visita di un buon dottore, per poi tornare alla sua vita quotidiana e alla ricerca di un amante più “tradizionale”.

Questa donna, Anastasia Steele, protagonista di Cinquanta sfumature di grigio, no.  La tensione è tale da arrivare ad un punto di non ritorno tale, da firmare, in preda ai fremiti, un contratto che la rende letteralmente “proprietà” dell’invasato in tuxedo e quindi gestibile da lui come meglio crede. In pratica diventa, per lui, un oggetto – nulla più del suo elicottero. L’ennesimo suppellettile da possedere. C’è un particolare non indifferente da rendere noto: lui DICE di amarla. Pare la desideri più dell’ennesima società da rilevare. Come resistere a tutto questo?

Questa storia non è un vaneggiamento della sottoscritta: è la trama di Cinquanta Sfumature di grigio un libro che ha fruttato all’autrice, l’inglese E.L. James, 62 milioni di dollari (rendendola la scrittrice più ricca del mondo), la quale, non contenta delle peripezie che la povera Anastasia aveva già subito, ha fatto seguire il primo volume da Cinquanta Sfumature di rosso e Cinquanta Sfumature di nero. Una saga che è un crescendo di contorsione mentale e pazzia totale. Dimenticavo: è uscito da poco anche il film tratto dal primo capolavoro. Devo essere onesta: avevo iniziato a leggere il primo libro con il solo fine di capire perché ne parlassero tutti. Il solito studio antropologico che tutti intraprendiamo quando in un grande successo sentiamo odore di marcio, ma, nonostante le avvisaglie, vogliamo a tutti i costi sbatterci la testa. Pensavo: sarà semplicemente un romanzo erotico, come ce ne sono tanti. Un remake di Histoire d’O. Arrivata a circa metà l’ho letteralmente buttato nel cestino della carta. Mi vergognavo a regalarlo o a portarlo in una biblioteca come usato. Non volevo diffondere quella bruttura.

Cinquanta sfumature di grigio non è solo un romanzo pseudo-erotico di cattivo gusto e fallimentare, dove l’unica cosa eccitante è la descrizione della città da cui proviene Anastasia. È un inno alla violenza fine a sé stessa, anzi peggio ancora, finalizzata a compiacere un cretino vanaglorioso. Nessuno ha mai spiegato a questa “scrittrice” che l’arte dell’erotismo è saper eccitare senza descrivere brutalmente l’atto, ma dilungandosi sulle sensazioni che provocano le allusioni e i non detti? Mi ha fatto specie soprattutto perché il mondo è invaso da manifestazioni a favore delle donne, giornate mondiali, balli in piazza, libri, pièce teatrali contro la violenza e il femminicidio, tanto che ormai non si può nemmeno più dire che una non è particolarmente bella senza passare per un mostro sessista e senza cuore. E poi? Questa saga che trasuda sessismo da ogni riga, viene lanciata come best seller già dalla prima tiratura (perché diciamocelo, le vendite sono proporzionali al battage pubblicitario) e presentato come opera in grado di mostrare a ogni singolo lettore o lettrice il più intimo desiderio di ogni donna. Giusto per essere ogni tanto trasgressive…

Il politically correct è riuscito a farci sentire brutti e sporchi anche se solamente ci azzardiamo a fare un po’ di innocente ironia, e questa E.L. James può permettersi di scrivere una storia dove la violenza, il possesso e l’annullarsi completamente in una persona, che non vuole certo il bene di chi ha di fronte, siano non solo i desideri più reconditi di una donna, ma anche il mezzo attraverso il quale sia possibile emanciparsi. In fondo non pare molto diverso dal messaggio che Michel Houellebecq vuole trasmetterci con Sottomissione. In parole povere, l’autore profetizza un mondo  dico  dove l’essere sottomessi è la condizione ideale per realizzarsi completamente, in quanto annullandoti nel volere dell’altro, liberi il tuo spirito. Ci avverte che tutto ciò accadrà perché gli islamici ci invaderanno e noi non sapremo contrastarli, in quanto troppo secolarizzati e disillusi per immolarci in una qualsiasi battaglia per un’ideale. Vi è però nelle parole di Houellebecq un certo piacere nell’annunciarci questa disfatta, come a dire “ce lo meritiamo, dobbiamo accettarla”.

Leggi anche:
Femminile singolare: storie di violenza

Dopo anni di lavaggio del cervello nel quale ci hanno detto che il futuro è nelle nostre mani, il mito del self made man, il sogno americano, gli yuppies, i carrieristi, gli amori criminali che portano alla violenza, tutto esplode in questa sottile e particolare intuizione: la sottomissione è la via da seguire. Che la violenza per un’ideale/per amore è giustificabile. Quantomeno paiono tutti schizofrenici. Ma visto che definire il mondo come malato in toto è giustificare chi lo sta facendo impazzire, assumiamo che l’idea ora da inculcare sia questa, a tutti, uomini e donne. Potremmo però ribellarci. Boicottarla almeno simbolicamente non comprando i libri o disertando le sale cinematografiche. Invece no. Tutti come pecoroni a vederlo.

Gli schemi però si ripetono: se parli con amici e conoscenti nessuno è andato a vedere il film o ha comprato il libro: il male bussa alla nostra porta. Lo lasciamo entrare, lo guardiamo con occhio totalmente acritico, ci smuove qualcosa nel basso ventre e lo buttiamo fuori, rinnegandolo, però solo apparentemente. Più o meno è la mentalità di un freddo assassino. Che nella violenza ci sia sempre un retrogusto di piacere, è risaputo. Resta una mentalità malata o quantomeno pericolosa. Volete veramente farmi credere che è più politically uncorrect apostrofare una persona con il termine “negra” piuttosto che inoculare nelle persone (giovani in particolare), goccia dopo goccia, un pensiero velenoso qual’è quello della cupezza e della violenza come linfa vitale dell’uomo, capace di liberarci totalmente, arrivando persino a rischiare la morte?

L’ISIS non predica cose granché diverse, a mio parere. Benissimo. Peggio per chi ci casca. Poi non si sfoderino le giornate mondiali della pace, della non violenza, contro la violenza sulle donne, perché ogni giorno appare sempre di più come un inno alla morte e alla malvagità. Sarà la moda del momento, questa violenza senza fine. Sarà che non rientra nel politicamente scorretto…chissà perché. Ma allora propongo di istituire un’altra categoria: quella dell’Umanamente corretto.

di Susanna Causarano

Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!

Segui Frammenti Rivista anche su Facebook e Instagram, e iscriviti alla nostra newsletter!

Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

1 Comment

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.